Negozi aperti a Pasqua e scuole aperte al Giovedì Santo: la guerra alla religione cattolica è dichiarata. E i cattolici come si comporteranno? Andranno a far compere a Pasqua e manderanno i figli a scuola nel primo giorno del Triduo sacro?

Teniamo i figli a casa da scuola il Giovedì Santo. E spieghiamo loro il perché




Nella foto di questo articolo si vede il cartello di un negozio che apre alla domenica delle Palme e alla domenica di Pasqua. Ecco un negozio da non frequentare.  Contemporaneamente nella regione Friuli Venezia Giulia le scuole rimarranno aperte al Giovedì Santo. Ecco una disposizione da non applicare. Negozi aperti a Pasqua, scuole aperte al Giovedì Santo: la guerra alla religione cattolica è dichiarata. E se è guerra, che guerra sia: niente acquisti in quel negozio e teniamo i figli a casa da scuola.

Fa bene la pubblica amministrazione a recidere i legami organici con la religione cristiana? Fa bene a sopprimere un po’ alla volta tutte le feste religiose? Fa bene a tenere aperti i supermercati la domenica e perfino a Natale? Fa bene a dividere le famiglie nelle giornate di festa religiosa? Fa bene a trasformare ogni giorno in un giorno qualunque? Le feste religiose non hanno lo stesso valore delle feste civili. Queste ultime sono solo umane. Quelle religiose, invece, attingono ad un patrimonio di senso non solo umano. Fa bene la politica a privare sistematicamente in cittadini di questo patrimonio di senso più che umano? Alla lunga, non si indebolirà la stessa consapevolezza civica che ha sempre bisogno di presupposti che essa non si sa dare da sola? Appiattire i giorni uno sull’altro, come se fossero tutti ugualmente grigi non appiattisce anche gli animi delle persone rendendoli tutti grigi?

La laicità non consiste nell’abolire le feste religiose. In questo caso la laicità diventa un’altra religione. Laica, ma dotata di una assolutezza religiosa. Laicità non significa pensare di poter fare a meno della dimensione religiosa, considerarla irrilevante o addirittura negativa. Laicità significa umiltà della ragione che cerca di usare le sue forze ma non si preclude altri aiuti, compresi quelli che vengono dalle tradizioni religiose che innervano per esempio la Settimana Santa. Lasciare a casa gli studenti non comporta che tutti andranno ai riti pasquali. Comporta però dare un segno pubblico che la dimensione religiosa cristiana ci appartiene, e ci sono momenti in cui anche la società si leva il cappello e si ferma davanti ad essa. Almeno per rispetto se non per convinzione.

Poi c’è la responsabilità dei cattolici. Ci lasciamo depredare di tutto senza dire e fare niente? Contro l’apertura delle scuole al Giovedì Santo qualche protesta si poteva fare, come era stata fatta – seppure timidamente e in ordine (molto) sparso – per l’apertura dei negozi alla domenica. Se questo non è stato fatto, c’è un’ultima riserva: tenere i figli a casa da scuola, spiegando bene loro il motivo. E sforzarsi di vivere con loro un bel Giovedì Santo con la partecipazione in Chiesa ai riti dell’istituzione dell’Eucarestia e del sacerdozio e della lavanda dei piedi.  

 

Una risposta a “Teniamo i figli a casa da scuola il Giovedì Santo. E spieghiamo loro il perché”

  1. Stefano Di Brazzano ha detto:

    Verrebbe da dire “Mal che se vol no diol”.
    La Regione infatti non ha fatto altro che prendere atto con quasi 50 anni di ritardo (ma questo ritardo non meraviglia affatto, trattandosi di un organismo dello stato) di quel che la Chiesa stessa ha disposto in merito all’importanza della mattina del Giovedì santo. Infatti mentre con il rito romano tradizionale il triduo pasquale s’iniziava con il Mattutino del giovedì, il cosiddetto “Ufficio delle tenebre”, che si cantava nella notte tra il mercoledì e il giovedì santo, con la riforma liturgica del 1969 invece il triduo pasquale incomincia appena con la “Missa in Cena Domini” del giovedì pomeriggio (basta prendere in mano un messale del 1962 e uno di quelli attualmente in uso per sincerarsene). Quindi è stata la Chiesa a declassare la mattina del giovedì santo, la regione si è semplicemente adeguata. Se c’è qualcuno con cui prendersela questi sono casomai mons. Annibale Bugnini e i suoi collaboratori, autori della riforma liturgica, e tutto sommato anche Paolo VI, che quella riforma ha approvato senza batter ciglio, pur avendo tutta l’autorità per rispedirla al mittente.

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