Luoghi dell’Infinito




Uno dei problemi della Chiesa degli ultimi anni, così a occhio almeno dal postconcilio, è stata senz’altro quella sorta di altalena schizofrenica tra lo spiritualismo e l’attivismo che ha caratterizzato spesse volte l’atteggiamento dei laici cristiani nel mondo. Da una parte, cioè, la chiusura nell’intimismo disimpegnato senza alcun legame con il reale, dall’altra la sequela della frenesia mondana fino a perdere di vista il senso stesso della presenza cristiana nella società temporale. Avanti e indietro come pendoli impazziti, dimenticando che la verità – come dicevano gli antichi – sta giusto nel mezzo. Anche da questo punto di vista la predicazione itinerante di Benedetto XVI nella Mitteleuropa nei suoi otto anni di pontificato è apparsa particolarmente significativa. Se andiamo a rivedere con attenzione i principali viaggi apostolici nell’Europa centro-orientale che cosa ha fatto il Pontefice? E’ tornato in quei luoghi speciali dell’infinito che sono i santuari e lì ha raccolto le comunità locali ri-cominciando a raccontare da capo la storia da cui erano nati. Dall’austriaca Mariazell, tra i monti della Stiria, al Gesù Bambino di Praga a Malà Strana, Ratzinger ha disegnato una geografia oggettiva della spiritualità e della storia cristiana centro-europea a partire dai luoghi fisici che il Cielo ha scelto – rivelandosi a suo modo – in un determinato tempo storico. E già questo di per sé, a ben vedere, è un antidoto sia contro lo spiritualismo che contro l’attivismo. Il santuario, infatti, con la sua presenza e soprattutto con la sua storia passata rappresenta, con il suo semplice esserci, una catechesi plastica della buona vita cristiana. Invita a rifuggire potentemente dall’intimismo soggettivo perché racconta visivamente vite di famiglie, popoli e comunità, e a volte ospita persino resti mortali di Santi o Beati, persone cioè vissute in carne e ossa proprio lì, in quel luogo, che magari hanno anche loro pregato su quella panca, inginocchiandosi a quella balaustra, comunicandosi a quello stesso tabernacolo. Ma, d’altra parte, invita anche a rifuggire dall’attivismo sfrenato della lista delle cose da fare perché riporta la mente dei fedeli al fatto che i sacramenti e la preghiera vengono gerarchicamente prima delle fatiche quotidiane, per quanto nobili e necessarie queste siano. Insomma, sono anch’essi a loro modo un riflesso peculiare della logica dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Ricordando la loro secolare presenza, visitandoli e meditando sulla loro storia e sui loro diversi anniversari, nella sua Mitteleuropa, Benedetto XVI ha inteso ricordare due cose: la prima è che il cristiano vive e agisce nella storia, nel mondo, figlio di una memoria antica che lo precede e gli mostra la strada da seguire, come una compagnia fidata o un amico che non ti tradirà mai. La seconda è che questa storia (diversamente da altre tradizioni spirituali) non è solo orale ma si può toccare, si può guardare, si può persino ‘respirare’ ed è legata a dei luoghi fisici reali ma al contempo simbolici e altamente significativi. C’è insomma una componente di fisicità che resiste al logorìo inesorabile del tempo eppure – paradosso cristiano – che rimanda dritta dritta all’eternità.

Per questo, in definitiva, l’espressione-contraddittoria ‘luoghi dell’infinito’ non appare esagerata. Un luogo è uno spazio limitato mentre l’infinito è proprio illimitato ma nei grandi santuari mitteleuropei (e non) le due cose riescono a tenersi insieme secondo il proverbiale ‘et-et’. Certo, la considerazione, a scanso di equivoci, per estensione, vale per ogni luogo di culto in quanto tale, fosse anche una cappellina di un metro quadro in una periferia abbandonata di campagna. Tuttavia è nei grandi santuari, mariani e non, che c’è quel qualcosa di più che non si trova altrove. Per restare in Italia, Loreto e Assisi dicono qualcosa della pedagogia divina che invano si cercherebbe da altre parti. Sono, per l’appunto, ‘siti privilegiati’, speciali, unici al mondo. Come pure, mutatis mutandis, Lourdes o Fatima o Santiago. E’ per questo che quando un Pontefice di solito si reca in visita in quei luoghi l’attenzione della Cristianità raggiunge lo zenit: già solo la decisione di andarci rivela che è in corso un passaggio significativo della storia umana. Non è un giorno come un altro, non è un incontro come tanti. Ecco, sarebbe bello che questo insegnamento dedicato in modo particolare alle comunità mitteleuropee dal pontefice per eccellenza più mitteleuropeo della storia della Chiesa venisse meditato, discusso e ripreso e così da lì ripartire con nuova lena per la nuova evangelizzazione a cui chiama ora Papa Francesco. In modo da evitare (e stavolta, possibilmente, riuscendoci) sia l’attivismo che lo spiritualismo. Se poi non siamo ancora convinti magari mettere in agenda un fine-settimana a Mariazell o a Malà Strana ci toglierà ogni dubbio.

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