I “Codici trascendentali” di Tobia Ravà




L’arte fin dalle sue origini più lontane affonda le radici nel sacro. Le prime pitture rupestri, ad esempio, da tempo sono ritenute degli scongiuri propiziatori di una buona caccia e forme iconiche di ringraziamento per il favore concesso dalle divinità. Solo in tempi moderni l’arte, in molte delle sue espressioni, ha voluto imboccare la strada dell’autonomia concentrando la propria attenzione sul profano. Logicamente, nel generale clima di abbassamento del discorso artistico, esistono numerose eccezioni rappresentate da artisti che coltivano ancora con sapienza e autorevolezza il dialogo con il sacro.

Tra questi si distingue l’artista veneziano Tobia Ravà che, in occasione della Giornata della cultura ebraica, ha allestito presso la sala “Carlo Sbisà” di via Torrebianca 22 la mostra “Codici trascendentali” visitabile fino al 6 ottobre. Ravà ha costruito la sua arte ispirandosi allo studio della Cabala, che è comunemente nota come il ramo mistico dell’ebraismo. I suoi quadri e le sue istallazioni infatti combinano la rappresentazione delle più diverse forme del reale con la trascrizione di lettere e numeri ebraici, simbolo del legame simbolico, proprio anche alla mistica cristiana, tra Parola divina creatrice e origine dell’universo.

Se si cerca il suo significato su qualsiasi enciclopedia cartacea oppure on line, la Cabala ebraica viene definita come quell’insieme di insegnamenti esoterici propri all’ebraismo rabbinico sviluppatosi a partire dal XII-XIII secolo. Essa studia, sulla base della Bibbia ebraica, il mondo fenomenico puntando allo svelamento della volontà divina quale si è manifestata nella Creazione. Perché il Signore di tutte le cose, assoluto, onnipotente, unico e infinito, ha creato il cosmo? E come può l’uomo, creato per realizzare se stesso come essere glorioso che si dispiega in pienezza nella pienezza del suo Creatore, conoscerLo al fine di essere ammesso nel suo regno di delizie e perfezioni?

Sin dalle origini nelle speculazioni della Cabala si sono intrecciate due correnti: la prima afferma che Ein Sof (“senza fine”) — il Dio creatore della Bibbia prima di ogni manifestazione e di cui nell’ebraismo non si deve mai pronunciare il nome —, è inconoscibile e inattingibile e di Lui si può conoscere solo ciò che si può trarre dalla sua Creazione; la seconda afferma che Ein Sof può essere conosciuto sì nell’intimo, sia pure mai completamente, ma solo nell’atto che genera la creazione. Questo atto da alcuni cabalisti viene inteso come un puro atto della volontà, da altri come un puro atto del pensiero. Lo splendore divino si effonde su tutta la creazione, dalle sfere più vicine alla fonte a quelle più lontane. Tra Ein Sof e la sua creazione si dispiegano le sue 10 emanazioni, o poteri, dette sefirot che manifestano i suoi divini attributi. La Cabala sulle denominazioni e sulla natura di ciascuna sefirah ha sviluppato divergenti interpretazioni, trovando uno sfondo comune nella loro natura di tramite attraverso il quale l’essere divino si manifesta. Esse sono i gradi della vita divina nella sua intimità e in quanto tali — sempre secondo certe correnti, essendo la Cabala una foresta intricata di speculazioni, intuizioni e linguaggi —, possono essere paragonati a dei vasi attraverso i quali la vita divina viene riversata nella vita creata. Molteplici e ammalianti le loro denominazioni, a partire dall’assonante “zaffiro”. In ogni denominazione brilla sempre il fulgore del divino proprio al linguaggio mistico della philosophia perennis: “luci”, “corone”, “vesti”, “specchi”, “germogli”, “fonti”, “giorni superni o primordiali”.

L’albero delle sefirot è l’asse cosmico intorno al quale la potenza divina dispiega la sua creazione, infondendo in ogni cosa i raggi dei suoi supremi attributi, che la caduta dell’uomo ha rifratto e polverizzato originando così una realtà frammentaria, fortemente contrastata e in eterno conflitto tra l’angelico e il demoniaco, l’essere e il nulla, il peccato e la grazia.

La Creazione è opera della Parola. I testi sacri sono la Parola disseminata in parole e compito dell’uomo è risalire dalle sillabe al discorso unico e fondante. Certi cabalisti si sono affannati a cercare la chiave per impadronirsi della potenza creatrice della Parola, seguiti anche da celebri artisti dell’epoca romantica e decadente. Pensiamo al poeta francese Jean Arthur Rimbaud (1854-1891) che nella primissima giovinezza costruì la sua teoria estetica sulla base della Cabala ebraica e sognò di diventare il Grande magio o veggente, capace di rigenerare e glorificare tutta la creazione. Un’incendiaria passione giovanile, segno di un’epoca in cui era comunque ancora viva la sete di conoscenza e di verità. Nella Cabala, precisamente in una delle sue frange nota come Ghematria, ogni lettera dell’alfabeto ebraico, come ogni parola o insieme di parole, ha un valore numerico traducibile a sua volta in altre e diverse parole, a loro volta riconvertibili in numeri, in un processo ad infinitum di trasposizioni sottili e illuminanti espansioni di senso. Il risultato di questa decifrazione di andata e ritorno continui tra parole e numero, oltre ad avere il valore di semplice chiave mnemonica, è l’illuminazione di significati ulteriori nascosti nel testo sacro — letterali, allegorici, simbolici, mistici, spirituali e iniziatici — oltre a quelli immediatamente più evidenti.

Questo è solo in parte lo sfondo culturale e spirituale su cui Ravà ha edificato la sua opera. I suoi “Codici trascendentali” possono essere visti come la trascrizione in figure e colori della creazione in atto. Le opere divine e le opere frutto dell’intelligenza e della tecnica dell’uomo vengono raffigurate sia nella loro veste visibile e immediata sia nelle loro interiori e spirituali dinamiche divine orchestrate attraverso la Parola che diviene, nel dispiegarsi della potenza creatrice, parole, lettere, segni e numeri, a loro volta interscambiabili e generatrici gli uni degli altri.

Creazione continua, opera in atto, splendore immanente e trascendente: seguendo la corrente di questi fiumi con i remi vigorosi e ben temprati della sua cultura ebraica, della sua sapienza mistica e della sua ispirazione, Ravà ci trascina nel vortice di un’esperienza estetica intensamente spirituale. Le sue opere ci coinvolgono in un’avventura dell’intelletto, dello spirito e della creatività che si dipana lungo i sentieri solo apparentemente “interrotti” dell’essere, ove è bello aggirarsi inseguendo, in un gioco senza fine, i riflessi degli “specchi” delle sefirot e i bagliori di quei “giorni superni” che a volte scendono a rischiarare i nostri piccoli giorni terreni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *