Da Copenaghen a Istanbul in kayak




È una tranquilla serata di inizio novembre. Il 3 novembre. Il giorno in cui festeggiamo san Giusto. La città è quasi deserta, silenziosa, come leggermente assopita. Lungo il mare, vicino alla Lanterna e all’Ausonia, questa solitudine serena si assapora pienamente, avvolti da un cielo limpido e azzurro profondo in cui non si è ancora accesa nessuna stella. L’acqua è immota e oscura, percorsa da lunghe ombre lucenti che palpitano nel buio della notte vicina. Mare e cielo si specchiano l’uno nell’altro, in sottofondo si avverte il tintinnio delle barche attraccate in un ampio spazio, dopo la torre del faro, che guarda agli edifici della Finanza e della Lega navale. Luogo di attracco dei motoscafi della Finanza e di tante barche di diporto che sembrano frusciare misteriosamente nel silenzio della sera.

È certo un momento speciale per tutti coloro che amano gli oceani, le immense profondità, le onde, il viaggio, l’andare e tornare di cui il mare è simbolo eterno. «Uomo libero, sempre tu amerai il mare!», scrisse il grande poeta francese Charles Baudelaire (1821-1867) nella sua poesia “L’uomo e il mare”. Questa sera infatti alla Lega Navale ci sono quattro ospiti di eccezione: la famiglia Simonsen al completo, con mamma Suzi, papà Lars e i due biondissimi figlioletti, il piccolo Tiuri, di otto anni e la piccola Liva, di sei anni. Vengono da Copenaghen e approdano sulle nostre rive, quasi portando l’aria antica della vecchia Europa del Nord innamorata dei mari e dell’avventura con tutte le sue sfide, dopo un viaggio di un anno e mezzo, durante il quale hanno percorso via mare 8000 chilometri, a bordo di due kayak Hobie Island, da Copenaghen fino a Istanbul. Una navigazione costiera a vela o, in assenza del vento, con la propulsione a pedale e le pagaie.

Immediato mi coglie il pensiero della duplicità di tutte le cose e dei collegamenti — le preziose “segnature” —, che fanno comunicare i diversi pezzi del mosaico della vita. Da una parte San Giusto: martire cristiano che consuma il suo sacrificio in mare. Il mare dunque come luogo di tenebra e di morte. L’avventura che ci viene narrata oggi invece ci racconta un mare diverso, latore di vita, creatività, libertà dai gravami della routine quotidiana che tanto ci sfianca a volte.

Come nasce dunque questo lunghissimo “sogno” scandito dal respiro delle onde? La prima risposta è fulminea ed istintiva: da una personale dose di straordinario coraggio e di rara apertura all’incertezza del puro cambiamento. Ma andando alle radici, dietro questa navigazione di famiglia così audace e, sulle prime, tanto incredibile, ci sono una decisione radicale, frutto di realismo e adamantina volontà, e una conseguente svolta irrevocabile maturata in un momento difficile, quando, come è successo a tantissime altre famiglie con la crisi degli ultimi anni, i Simonsen perdono il lavoro e la casa. Cosa inventarsi per sopravvivere? Come reagire alla perdita dei due soli beni stabili secondo la nostra società materialista, quali una professione sicura e un luogo ove abitare? La scelta è insieme un paradosso e una soluzione perfettamente logica. Un paradosso perché ragione vorrebbe — perlomeno una ragione immediata e pratica — che la famiglia si metta subito in moto per rimediare alla perdita cercando un nuovo lavoro e una nuova sistemazione abitativa. Ma questo stesso paradosso è, a ben guardare, anche una risoluzione di adamantina logica perché, persa ogni fiducia nella stabilità delle cose materiali legate alla “terra”, questi due genitori con due figli ancora piccolissimi e bisognosi di protezione vigile e sollecita in ogni momento, decidono di affidarsi ad una strada opposta alla prima così sicura e scontata: la liquida cangiante strada offerta dall’ammaliante, generosa e infinita possibilità di vita libera del mare. Come a dire: il miglior rimedio alla malattia moderna della sicurezza è la libera scelta di una saggia e sana insicurezza che si affida da una parte ai personali talenti — tante volte soffocati e spenti dall’abitudine e dalla paura —, e dall’altra alla provvidenza sempre operante. Di questa insicurezza sapiente certamente il mare è simbolo perfetto. Di qui la scelta di abbandonare le sponde famigliari e note e di prendere il largo, insieme, mamma e papà e due bambini piccoli, adagiati in due kayak come su conchiglie fragili e leggere, ma pur sempre conoscitrici dei ritmi e del respiro del mare.

L’attraversata, che li ha visti impegnati per un anno e mezzo di navigazione costiera, è partita da Copenaghen e si è conclusa a Istanbul. Nella serata del 3 novembre, alla Lega Navale di Trieste, questa avventura, che richiama alla memoria le ardite esplorazioni dei loro antenati vichinghi, è stata ripercorsa dai protagonisti stessi davanti ad un selezionato pubblico di intenditori e appassionati dei viaggi e degli sport legati al mare. Un corredo fotografico ci ha condotto in una sorta di esplorazione all’interno della vasta meravigliosa cattedrale del mare, colta in tutte le sue diverse sfumature, colori, densità, a seconda dei luoghi geografici. Come splendide vetrate dipinte nei colori stupendi che solo la natura sa mescolare e pennellare sulle cose, le immagini hanno seguito le coste della Danimarca, della Germania, dell’Olanda e del Belgio, per poi proseguire lungo i pigri canali della Francia, con le antiche chiuse che ricordano, con i loro “guardiani” sommersi nella quiete della sonnolenta vita di provincia, certi suggestivi scorci dei romanzi di Georges Simenon (1903-1989).

Poi l’arrivo a Monaco, quindi il passaggio alle coste italiane, poi la Grecia e da qui a Istanbul. Davanti ai nostri occhi sono sfilate tutte le diverse tonalità del mare: quello nordico, freddo e grigio metallico; quello più squillante e gioioso delle coste francesi, fino al mare dalle infinite trasparenze verde azzurro delle sponde italiche che si sono protratte in tutto il loro sfavillio cangiante nelle distese marine della Magna mater greca, culla del nostro popolo e della nostra cultura.

Ma il viaggio dei Simonsen non è stato solo un’avventura di navigazione, ma anche un bagno caloroso e vivace di accogliente umanità: ovunque siano approdati, c’è stata una vera e propria gara tra la gente per ospitarli nelle loro case con tutti gli onori propri all’antico senso dell’ospitalità, oggi purtroppo perduto per le mutate condizioni della nostra vita esposta a insicurezze e rischi sconosciuti in passato (che aveva altri nemici, ma diversi dai nostri). Un’ospitalità che apre le porte e i cuori, che dà da mangiare e da dormire, ma anche di che ritemprare la mente e l’anima con l’intimità di una vita condivisa tra le calde pareti domestiche. Lunghe anche le soste in tenda, accampati in spiaggia o in campeggio, con una cucina improvvisata con un fornello per approntare qualcosa di semplice. Dopo ore passate a navigare, esposti al vento e al sole, per quanto sempre ben attrezzati e tecnicamente assistiti grazie al sostegno dello sponsor “Ozone kayak”, i Simonsen si ritagliano nel tempo della fatica “gradevole” e sferzante dello stare in mare il tempo della sosta rinfrancante, occasione di accrescimento umano e di decantazione dell’esperienza accumulata durante il viaggio.

Ascoltare la loro avventura regala un’emozione profonda. In essa scorgiamo il baluginio di una possibilità di vivere diversamente e con coraggio, senza mai cedere ai ricatti della terra ferma con il suo mito del benessere e della sicurezza. Perché una giornata in mare, a contatto con il respiro e il canto delle onde, con il fluttuare degli uccelli marini sulle ghirlande di spuma delle superfici e lo scrosciante silenzio dell’oceano che palpita di mille infiniti silenzi più eloquenti di mille infinite parole, vale più di una lunga oziosa vacanza. Questo incontro con i Simonsen, con la loro esperienza di viaggio e di cimento non semplicemente sportivo ma esistenziale ed umano, ci ricorda che cambiare decisamente le proprie vite divenute troppo gravose e inceppate è possibile, un tempo come ora. Basta prendere il largo, con il corpo e con lo spirito, magari scegliendo come maestro e guida nel fluire dei nostri giorni il grande mare con la sua sapienza semplice e profonda.

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