Cultura e benessere




La cultura e l’arte aiutano a vivere bene. È un adagio antico ma che si attaglia ad ogni epoca. A Sacile è in corso l’8ª edizione di “Cultura è benessere”, che durerà tutto il mese di aprile e vedrà alternarsi musica, teatro, cinema, mostre, incontri e conferenze. Qui ci interessa meditare insieme sul legame tra “cultura” e “benessere”. Partiamo dal primo termine: la cultura. Si dice che oggi la cultura sia in crisi e che le nuove generazioni siano sempre meno interessate a conoscere e ad approfondire i grandi temi dell’esistenza. Si legge sempre meno, si trascorre sempre più tempo davanti allo schermo del computer o del telefonino. Così tuonano i soliti profeti di sventura che sono sempre esistiti e che sempre hanno deplorato la presunta ignoranza e pochezza delle nuove generazioni rispetto alle più solide, colte e responsabili vecchie generazioni. I tempi cambiano, non si può pretendere di obbligare i giovani di oggi a ragionare e a parlare come si faceva una volta. Ma se guardiamo con attenzione a questa realtà così diversa dal passato — un passato che comunque a suo tempo è stato un presente innovativo rispetto all’epoca trascorsa e anticipatore rispetto al futuro — ci rendiamo conto che non è tutto così negativo.
Le verità universali non possono tramontare e la cultura insieme all’arte sono sempre impegnate a meditarle e ad esprimerle secondo i linguaggi loro propri. Il mondo intorno a noi, la natura con i suoi paesaggi e le sue stagioni — escludiamo per ora ogni discorso ambientalista — possiamo dire che in linea di massima sono sempre gli stessi. Li vediamo ogni giorno, sono sotto i nostri occhi, anche se alla lunga ne abbiamo smarrito la coscienza a causa del logorio dell’abitudine. Sono lì e basta. Non possono diminuire o mutarsi, come ogni legge di natura. Così è delle verità universali che svelano all’uomo la sua essenza e il senso della sua vita. Senza di esse e senza i messaggeri che le illuminano e le diffondono l’uomo è nulla, è solo un atomo che si muove senza sapere il perché e poco a poco si consuma e si disintegra.
Molti uomini, e non solo i giovani, vivono a questo livello molecolare della materia, sospinti dal puro istinto di sopravvivenza, determinati dagli impulsi animali che li accomunano ad ogni vivente. Non si interrogano su nulla, vanno avanti perché mossi da una forza vitale nudamente fisica ed emotiva, ereditata alla nascita con il corpo e la sua costituzione chimica e biologica. Mangiano, bevono, lavorano, chiacchierano, si svagano, si impegnano, fanno le cose che più o meno tutti fanno nell’ordinaria medietà. Questa non è una critica perché l’esistenza è anche questo essere e stare calati nella trama dei microeventi quotidiani, nella cura delle piccole cose, nel gusto della semplicità, lontano da ogni sdegnoso senso di elezione e da ogni culto dell’eccezione e dello straordinario a tutti i costi. Non parliamo infatti dell’aspetto esteriore di tante vite, ma della loro costellazione interiore, del loro essere “segreto”, là dove Dio parla all’anima. Molti uomini e donne hanno vissuto la santità nel nascondimento e nell’anonimato, in quello spirito di infanzia e di umiltà assoluta che solo gli occhi di Dio riescono a vedere e ad elevare fino alla gloria del Cielo. Quanto più si sono abbassati tanto più sono stati innalzati. A brillare di tutto il fulgore della verità era il loro spirito, che compenetrava anche il loro corpo e la loro vita quotidiana, ma senza manifestazioni prodigiose o segni straordinari. Questi santi sono come fiori che crescono e sfavillano alla luce del sole ignorando la propria bellezza e la predilezione che li riscalda e li nutre! Sono centrati nella verità e quindi integri e compiuti, consapevoli — per grazia infusa e per sacrificio di sé, due aspetti inscindibili — del senso autentico di tutte le cose.
Ad un altro livello la cultura è chiamata a far brillare queste verità nelle sue manifestazioni e nei suoi linguaggi. Un’esistenza può essere appartata e ignorata eppure straordinaria sul piano interiore, non essendo il valore della vita qualcosa che si vede. Qualcuno scriveva che le cose più importanti sono invisibili agli occhi. La vera cultura deve risvegliare un’altra vista rispetto a quella del corpo: la vista spirituale che contempla ogni cosa nel profondo. Per questo la cultura non sempre deve essere dotta ed erudita, ma radicata nel terreno vivente dell’umanità e del suo trascorrere su questa terra. Essa allora, anche come dotta ignoranza, conosce l’uomo nella sua esistenza in questo mondo, nelle sue contraddizioni e insieme nei suoi segreti talenti e luminose verità, come nel suo destino definitivo. Se le manca questo intimo legame con la concretezza terrena è come una sequenza inarticolata di suoni che nessuno capisce perché non significano nulla. La cultura deve essere il linguaggio del concreto vivente, come scriveva Romano Guardini, massima sapienza dell’uomo corporeo e spirituale, terreno e celeste, e del suo destino ultimo. Se non sa parlare all’uomo in questa sua vivente concretezza sciogliendone con la sua intelligenza e conoscenza i grumi e i detriti terrosi e calcinati, essa è intrattenimento da salotto, divertimento intellettuale, trastullo di specialisti che si baloccano con i loro paroloni gonfi e incomprensibili, dietro i quali alla fin fine ci sono banalità scandalose o il nulla assoluto.
E allora, prima di parlare della necessità della cultura e di stigmatizzare i giovani perché la cercano e la amano poco, sforziamoci di chiarire prima di quale cultura stiamo parlando e di definire anche il senso del fare cultura. Quando essa parla all’uomo, allora diventa anche fonte di benessere. Stare bene significa essere in accordo con se stessi e anche trasparenti a se stessi, risolti, spiegati, decifrati e fondati stabilmente su qualcosa che non vacilla e che non cadrà mai. Sapere che cosa c’è dentro di noi, per quale ragione siamo così e non in un altro modo, dove vanno i nostri passi e a cosa servono le nostre quotidiane fatiche — una ricerca che ogni uomo può fare, indipendentemente dalla sua cultura intesa in senso puramente erudito ed accademico — è la vera fonte del nostro benessere. Possiamo essere forti, in gamba, sani fisicamente e in gran forma e insieme sentirci male. Il benessere è il “bene” dell’“essere”, non del corpo, della mente o dell’anima prese singolarmente, ma nel loro insieme. Se so chi sono e perché sono, godo di una salute inattaccabile, nella buona e nella cattiva sorte. Al di là di tanti festival, kermesse, iniziative, tavole rotonde ed eventi di ogni genere e argomento, dopotutto, una volta passate al setaccio tutte le proposte e le sollecitazioni dell’esistente, è questo il solo sapere che conta, questo la nostra vera cultura e il nostro vero benessere da ricercare e coltivare.

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