Mi chiamo Edoardo Bennato




“Ogni cosa ha un suo prezzo ma nessuno saprà quanto costa la mia libertà”

Ricordo le canzoni graffianti ed incisive di Edoardo Bennato quando si potevano ascoltare in trasmissioni radio come “Per voi giovani” e “Alto gradimento”. Erano gli anni post ’68, dove il vento rivoluzionario e libertario soffiava ancora impetuosamente a cercare di scompaginare non solo i capelli ma piuttosto le strutture istituzionali, il potere, l’autorità, la scuola, la famiglia, la musica stessa. La canzone “Non farti cadere le braccia” era emblematica di quel periodo in cui ancora si inneggiava a non mollare, a non rinunciare a coltivare quei sogni utopistici: «Non devi voltare la faccia, non arrenderti né ora né mai (…)». Il musicista napoletano alternava brani in cui la rabbia esplosiva lasciava posto a riflessioni più intime e personali, come nella celeberrima “Un giorno credi” del 1973: «Un giorno credi di esser giusto e di essere un grande uomo. In un altro ti svegli e devi cominciare da zero. Situazioni che stancamente si ripetono senza tempo (…). Sei testardo, questo è sicuro, quindi ti puoi salvare ancora, metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi».
Precedentemente il cantautore campano aveva scritto canzoni per i Formula 3, Bruno Lauzi, Michele, Bobby Solo, i Nuovi Angeli. Diplomatosi al liceo artistico e divenuto architetto, Edoardo Bennato non aveva tralasciato l’impegno politico e sociale e, con un taglio ironico e dissacrante, si scagliava contro le false promesse dei potenti, come si poteva riscontrare ad esempio in “Arrivano i buoni” del 1974: «Finalmente una nuova era comincerà (…) senza servi né padroni, senza guardie né assassini, d’ora in poi tutti uguali, una nuova era per l’umanità». L’anarchia feroce e sarcastica, rinvenibile in tante sue opere, faceva emergere la sua acrimonia contro l’etica, la fede, la terra natale: «Presto vieni qui, ma su, non fare così, ma non li vedi questi altri bambini che sono tutti come te, che stanno in fila per tre (…). Vi insegnerò la morale, a recitar le preghiere, ad amar la patria e la bandiera (…). Sei già abbastanza grande, ora farò di te un vero uomo: ti insegnerò a sparare, ti insegnerò l’onore, ti insegnerò ad ammazzare i cattivi. Noi siamo i buoni e perciò abbiamo sempre ragione, andiamo dritti verso la gloria». Nel confrontarsi con il mondo delle favole (“Pinocchio”, “Peter Pan”, “Il pifferaio magico”) egli non poteva esimersi dalla carica impetuosa che lo contraddistingueva e dal lanciare frecce ai suoi bersagli preferiti: dal politico corrotto che vendeva false illusioni ai grilli parlanti accademici, dalla Chiesa che osteggiava la verità di un Galileo Galilei alla moda consumistica e perbenistica. Nella canzone “Galileo” infatti condensava questo suo livore anticlericale: «A dire la verità ci sono due verità: quella che ci fa stare bene, oppure quella che nessuno dirà, la verità che non conviene (…) io Galileo davanti al mondo intero sono costretto ad abiurare».
Raggiunto il successo (già nel 1980 più di 80.000 persone riempivano lo stadio San Siro di Milano ad un suo concerto) non poteva non rilevare le contraddizioni (popolarità commerciale, moda, conformismo) che egli stesso denunciava e che attraverso alcune altre sue canzoni cercava di giustificare: «Tu sei un cantautore, tu sei saggio, tu porti la verità (…) tu sei un’anima eletta, tu non accetti compromessi». Anche nel brano “Sono solo canzonette” Edoardo Bennato tentava di ricondurre la canzone arrabbiata e lo stile aggressivo che lo aveva caratterizzato in uno stile più elusivo e giustificante: «Io di risposte non ne ho, io faccio solo rock’n’roll. Non mettetemi alle strette, sono solo canzonette (…)». Dopo la perdita in un incidente stradale della sua compagna ed anche della mamma (a cui era molto affezionato) ha scritto ed interpretato canzoni delicate attorno al mondo femminile, come ad esempio “Le ragazze fanno grandi sogni” del 1995: «Forse peccano di ingenuità, ma l’audacia le riscatta sempre, non le fa crollare mai. Le ragazze sono come fiori profumati di fragilità ma in amore sono come querce».
Cantando si impara con Edoardo Bennato a credere fermamente alle proprie idee ed a denunciare i pericoli insiti nell’idolatria del potere, del denaro, del successo. Nonostante i fermi e discutibili convincimenti, bisogna prendere le distanze dall’indole dissacratoria di Edoardo Bennato che arriva a farsi beffe, sin dal titolo (“Le vie del rock sono infinite”) dei diritti di Dio nella vita dell’uomo: «Il rock ha i suoi comandamenti, ed io, che son devoto solo al mondo mio, potrò salvarmi».

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