Per aiutare i cristiani in Iraq (e non solo in Iraq) dovremmo almeno cominciare a parlarne. Invece su questa tragedia si sente solo la "melodia del silenzio".

Il silenzio sui cristiani perseguitati




La Chiesa di Francia segue con preoccupazione la sorte dei cristiani iracheni, costretti ad abbandonare case e beni, minacciati dalle milizie di Abu Bakr al-Baghdadi. Dopo l’espulsione da Mosul, tremila cristiani hanno trovato rifugio presso alcuni centri abitati della Piana di Ninive, ma qui nemmeno sono al sicuro: il fronte jihadista di al-Baghdadi – autoproclamatosi califfo dello Stato islamico – si sta spostando proprio verso Ninive, pur trovando una discreta resistenza da parte delle forze armate regolari irachene.

Il Cardinale francese Philippe Barbarin, su “Figaro vox” del 25 giugno, ha lanciato un appello a favore dei rifugiati, dopo un colloquio con Louis-Raphaël Ier Sako, Patriarca cattolico dei caldei. Sako ha parlato al Cardinale di una «situazione spaventosa», temendo che «più gravi minacce dovessero giungere ancora». E ha soggiunto che «l’eliminazione delle minoranze religiose», da parte dei musulmani, non è «un danno collaterale della folle strategia degli assassini», ma è invece «il loro obiettivo dichiarato».

Mons. Barbarin, nell’appello, ha dovuto ammettere che purtroppo, in Francia, «la situazione dei cristiani in Iraq non genera grandi emozioni». E quali sono i motivi? Innanzi tutto il disinteresse generale, che coinvolge anche le parrocchie: i cristiani non europei «sono considerati come un problema estraneo». Poi «c’è anche una sorta di fatalismo», per cui l’area mediorientale «è afflitta mortalmente da così tanto tempo, che tutti noi ci siamo oramai abituati all’inaccettabile». Ma il problema è, soprattutto, politico: «non aiuta il fatto – scrive il Cardinale – che qui in Occidente le religioni siano ufficialmente rispettate, ma spesso anche sospettate». E dunque «la situazione dei cristiani perseguitati nel mondo non provoca sovente nei nostri politici che una compassione educata, tardiva e poco efficace».

In ogni caso, gli iracheni sanno quali sono i limiti d’azione della Chiesa e non pretendono l’impossibile. Il Patriarca Sako, con realismo, non si aspetta aiuti diretti da un qualche governo occidentale. Per questo egli si è rivolto soprattutto ai fratelli cristiani: «Ciò che a noi manca di più – ha detto – è la vostra prossimità, la vostra solidarietà. Noi vogliamo avere la certezza di non essere dimenticati»! Mons. Barbarin, di rimando, ha proposto alle associazioni umanitarie di lavorare intensamente nella Piana di Ninive, ma più ancora ha chiesto con forza ai cristiani di Francia una qualche forma di aiuto (anche spirituale), in modo che si stabilisca un «gemellaggio tra le diocesi».

Sempre su “Figaro vox” (il 22 luglio), Marc Fromager, direttore francese di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (“Aide à l’Eglise en Détresse”), è stato intervistato sul perché di tanta indifferenza nei confronti dei cristiani perseguitati. In generale – ha dichiarato – «la sorte dei cristiani nel mondo non interessa a nessuno» e, anzi, si ascolta una «melodia del silenzio». Forse – si è chiesto – perché qualcuno sostiene che «il cristianesimo non dovrebbe fare parte della sfera pubblica»? O forse dovremmo rigettare «le nostre radici e la nostra identità»? Secondo Fromager, la Chiesa stessa, a parte il Papa, «appare sempre più anestetizzata su questi temi».

Quindi, per aiutare i cristiani d’Oriente dovremmo «innanzi tutto parlarne», non tacere. Le autorità pubbliche europee e francesi, in particolare, dovrebbero esprimere, «in maniera ferma e costante, un’indignazione estrema di fronte a questo dramma». Il messaggio è semplice – ha concluso Fromager: «queste persecuzioni non sono accettabili».

3 risposte a “Il silenzio sui cristiani perseguitati”

  1. Liliana ha detto:

    Oggi aspettavo dal Papa una denuncia, un incoraggiamento a questi nostri fratelli nella fede, ma nulla! Avrei pianto!

  2. Lucilla Cechet ha detto:

    «l’eliminazione delle minoranze religiose», da parte dei musulmani, non è «un danno collaterale della folle strategia degli assassini», ma è invece «il loro obiettivo dichiarato».
    Questa è la spiegazione più attendibile per quanto riguarda l’Iraq ma siccome il fenomeno della persecuzione è molto più diffuso bisognerebbe ricercarne le origini in molti strati della popolazione e nell’indifferenza collettiva persino della chiesa: in quest’ultima c’è la paura che nell’intensificare l’evangelizzazione delle masse si arrivi a giudicare fanatismo religioso anche la religione cristiana opposta a quella islamica o ebraica. Cioè le religioni monoteiste che nei secoli hanno dimostrato di essere il fallimento della pace poiché la maggioranza delle guerre (condotte per interesi economici o territoriali) sono state fatte passare per guerre di religione. Naturalmente le popolazioni danneggiate da queste guerre hanno mantenuto nei secoli odio e rancore per il “nemico” tanto che è difficile sradicare questi sentimenti dal DNA delle moltitudini che si sono addirittura differenziate in razze. E questo è sfociato nel razzismo sempre più diffuso! I governi, non potendo governare i popoli con altri mezzi meno cruenti, sempre più si serve delle religioni come ideale per perseguire i propri scopi, mancando, però essi,di ogni efficacia!
    Senza voler esaltare il valore spirituale della religione dettata da Cristo, per non passare per fanatici, vogliamo ricordare che religione non vuol dire affatto fede in un ente superiore che ci governa. Religione è soltanto un’etichetta di appartenenza, ma i dettami del cristianesimo risiedono nella capacità di perdonare, senza la quale l’uomo non sarà mai in grado di eliminare le atrocità delle guerre. Per far questo non può desistere ma deve difendersi pur restando presente sui luoghi più cruenti per dimostrare la sua fede nella solidarietà e diffonderla. I luoghi di fuga e di aiuto più efficaci non sono i campi di concentramento ma quelli posti su navi o mezzi veloci di spostamento da dove si possono aiutare i perseguitati di ambedue le fazioni con ospedali e rifornimenti, ma pronti a fuggire. Certo che i razzi possono oggi raggiungere qualsiasi obiettivo ma possono essere intercettati ed un obiettivo mobile è sempre più difficile da colpire di uno fisso quale può essere un edificio o un campo di concentramento terrestre.
    Essendo il cristianesimo una religione basata sul perdono
    riteniamo sia l’unica valida ad ispirare sentimenti di pace e non di vendetta ed a porre fine a questa spirale di distruzione collettiva. Questo può essere un concetto comprensibile non solo ai religiosi ma alla politica stessa poiché è basato sulla logica.

    • lucillacechet ha detto:

      Questi concetti più volte proposti insieme alle soluzioni più logiche per risolvere i molti conflitti odierni ispirano i corsi della dottrina cristiana della chiesa che l’arcivescovo di Trieste Pierpaolo Crepaldi ha istituito per il terzo anno nella sede dell’ex Seminario di via Besenghi e possono essere seguiti da chiunque.

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