Il linguaggio dell’ipocrisia è mellifluo: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità» (Mc 12, 14). Erodiani e farisei si rivolgono a Gesù con lodi, apprezzamenti e pubblici encomi. Roso così dall’amor proprio e dall’egoismo, l’impostore si sarebbe in seguito contraddetto – pensavano.
Dapprima lo chiamano «Maestro», ma non lo pensano affatto, poiché lo credono un ciarlatano. Poi affermano che egli non ha «soggezione di alcuno» e non guarda «in faccia a nessuno». Questo era già evidente a tutti e anche a loro, ma lo dicono per catturarne la stima. Asseriscono, addirittura, che insegna «la via di Dio secondo verità»: in realtà lo reputano un bestemmiatore e lo metteranno a morte proprio con l’accusa di bestemmia.
Ma Gesù non è roso dall’amor proprio, non si scompone, non arrossisce, non si deconcentra e alla domanda «È lecito o no dare il tributo a Cesare?», dapprima risponde «Perché mi tentate?» e alla fine pronuncia la nota sentenza: «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mc 12, 17).
Papa Francesco, nell’ultima S. Messa celebrata a Casa Santa Marta (4 giugno), ha commentato il brano evangelico e, in particolare, le parole degli erodiani e dei farisei, che pongono domande a Gesù «con parole morbide, con parole belle, con parole troppo zuccherate». In questo modo essi «cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro [Gesù] nella loro menzogna».
Ben diverso – dice il Pontefice – dovrebbe invece essere il parlare dei cristiani, perché il Signore così ci ha insegnato: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37). Amore e verità sono, in effetti, legati strettamente e prevedono la schiettezza. Il Dio dell’amore è pure il Dio della verità. Il linguaggio ipocrita è di coloro che «non amano la verità ma soltanto se stessi». E dunque – spiega il Santo Padre – «l’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità non va mai da sola. […] Non c’è verità senza amore. L’amore è la prima verità. Se non c’è amore, non c’è verità».
Il linguaggio adulatorio stimola appunto la «vanità» di chi ascolta e gli adulatori sanno bene che l’interlocutore è comunque affetto da una «certa debolezza interiore» e prova piacere quando si dicono cose buone su di lui. Ma l’amabilità del linguaggio non sempre corrisponde alla nobiltà del cuore e diventa un parlare farisaico. Certo, Gesù ci chiede di essere miti (come lui è mite) ma – dice Papa Francesco – «la mitezza che Gesù vuole da noi non ha niente di questa adulazione», di «questo modo zuccherato di andare avanti», poiché «la mitezza è semplice; è come quella di un bambino. E un bambino non è ipocrita, perché non è corrotto».
Così anche nella società contemporanea il cristiano è chiamato all’evangelizzazione, che però sarà inefficace se dovesse usare quel noto e po’ stucchevole «linguaggio socialmente educato». Chiediamo piuttosto al Signore – conclude il Papa – «che il nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da figli di Dio, parlare in verità, dall’amore». Un «parlare evangelico», insomma.
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