Sul tema del conflitto politico e istituzionale sul Porto, acutizzatosi nei giorni scorsi, pubblichiamo un'ampia intervista alla dott.ssa Antonella Caroli, studiosa del Porto vecchio e attuale direttore dei beni culturali della Fondazione Icmp.

Fronte del Porto: Antonella Caroli




Sul tema del conflitto politico e istituzionale sul Porto, acutizzatosi nei giorni scorsi e di cui si occupa l’editoriale di questo numero di Vita Nuova, pubblichiamo un’ampia intervista alla dott.ssa Antonella Caroli, studiosa del Porto vecchio e attuale direttore dei beni culturali della Fondazione Icmp (Istituto di cultura marittimo portuale). Nel prossimo numero faremo lo stesso con il senatore Francesco Russo e poi con gli altri protagonisti della querelle. Antonella Caroli ha studiato architettura al Politecnico e all’Istituto Alvar Aalto di Torino, dove ha conosciuto gli architetti più importanti del nord Europa e ha sviluppato le sue competenze sull’architettura industriale e sui porti dell’area baltica. Già Segretario generale dell’Autorità portuale di Trieste, Ispettore onorario per i beni e le attività culturali (settore archivi), oltre ad essere studiosa del riuso dei vecchi porti è attiva da moltissimi anni sul “fronte del porto”. Ha dedicato alla città di Trieste numerosi volumi, tra i quali quelli sulle costruzioni marittime portuali e sulla città – porto.

Il Porto vecchio è il luogo della discordia, una palestra dove ogni giorno si esercitano i politici. Perché un’attenzione che però sembra non portare risultati?

Il Porto vecchio, in questa città, è ancora il luogo della vanità politica. L’obiettivo è scardinare l’identità storica della nostra città-porto. Si invoca l’intervento di qualcuno che se ne appropri totalmente lasciando ai triestini solo dei ricordi. Non sembra possibile, ma è proprio così: nonostante per più di quarant’anni siano state avanzate proposte che si sono rese inutili, si continua a cercare l’investitore unico e gli archistars. Ancora oggi non ci si rende conto che il patrimonio storico architettonico del nostro porto storico è unico al mondo e che è dovere di tutti conservarlo e riutilizzarlo. Nei vari progetti gli obiettivi si concentravano soprattutto sul fronte mare (realizzazioni di marine) e sul terrapieno, appetitoso per nuovi insediamenti edilizi. Si dimenticavano o si rimandavono gli interventi su tutto il resto, quasi fosse trascurabile. Ora credo sia arrivata l’ora di chiudere tutte le storie infinite. Non possiamo più aspettare gli “altri”. Dobbiamo essere noi in prima persona, insieme all’Autorità portuale, a portare avanti la rigenerazione del Porto vecchio sviluppando gli obiettivi utili alla nostra città e non agli interessi di altri.

Come spiega i contrasti di una parte della città verso l’Autorità Portuale?

Intanto premettiamo che al vertice dell’Autorità portuale c’è una donna brava e capace e che soprattutto si intende di porto. Sappiamo quanto siano scomode le donne intelligenti e preparate, e quindi si esercita una sorta di “stalking” o “mobbing” per darle fastidio e intimidirla. Questo non è accaduto per esempio verso gli ultimi vertici, che hanno goduto di serenità e che hanno aspettato molti giorni per assegnare le concessioni demaniali a Porto Città (date a pochissimi giorni dalla scadenza del loro mandato), lasciando l’eredità scomoda al successore, perché di fatto hanno lasciato in sospeso tante questioni come quella del punto franco, del piano regolatore portuale, del rigassificatore, della riconversione della Ferriera e altro ancora. Mi sembra invece che la presidente Monassi nel suo complesso operato sia riuscita a portare già molti risultati e tra questi il “ no al rigassificatore”, oltre a nuovi traffici, a creare commissioni di lavoro aperte alle persone più impegnate della città, marginalizzando l’appartenza politica e valorizzando invece le competenze.

Perché sul Porto vecchio c’è tanta confusione cosicché i cittadini non riescono a capire le ragioni  dell’abbandono e del suo difficile riuso?

Purtroppo spesso non si fa informazione ma proselitismo e propaganda di scelte che stanno da una sola parte politica. Vediamo come la stessa Autorità portuale trova difficoltà a comunicare le sue determinazioni, e in quanto protagonista insieme al comitato portuale, che in esso tutte componenti istituzionali rappresentate oltre che tutte le altre parti del mondo portuale, viene spesso ignorata tanto che qualcuno vorrebbe istituire un’agenzia con le stesse rappresentanze. Semplicemente tentativi per dominare e veicolare scelte. La confusione si genera anche perché spesso chi parla di Porto vecchio non ha la consapevolezza né del luogo né del problema e si concentra sul punto franco e sulla sdemanializzazione, ma i problemi sono altri. A guidare le contrarietà è soprattutto il desiderio di guadagnare potere politico.

Un altro tema è il cosiddetto “spezzatino” in contrapposizione all’investitore unico. Una sintesi.

Probabilmente chi parla di “spezzatino” ignora che esiste uno strumento urbanistico, la variante (2007) cosidetta “Barduzzi” (denominazione data dall’ing. Ondina Barduzzi che l’ha redatta) che assegna ad ogni area una o più destinazioni funzionali, suddividendo l’intera area in “Unità minime di intervento” con le quali comunque bisogna fare i conti. Quindi la parola “spezzatino” risulta impropria e fuorviante rispetto alla serietà richiesta dall’approccio al tema della rigenerazione del Porto vecchio. Per quanto riguarda l’investitore unico è un’altra chimera: forse qualcuno spera in un “benefattore” che investa i suoi beni senza ritorno economico? È pura illusione pensare che arrivi un investitore unico che abbia i capitali necessari (senza il supporto delle banche) per intervenire su tutto il porto. Abbiamo visto recentemente il caso di Porto Città, che vorrebbe fare marcia indietro causa la “non bancabilità degli edifici”. Certo potremmo avere degli interventi, magari anche di qualità, ma la città, se le aree fossero sdemanializzate, ne sarebbe espropriata. Abbiamo visto più volte che ci si è avvalsi di professionisti estranei al contesto urbano, come se bastasse un grande nome a risolvere gli annosi problemi. Anche questa strada mi sembra sia fallita.

Quali sono stati gli errori, secondo Lei, fatti da Porto Città?

Premetto che Porto Città è stata accolta, differentemente da tutti gli altri, a braccia aperte. Grande collaborazione e intesa che hanno portato all’apertura della bretella che va da Largo Santos a Viale Miramare e alla Biennale Diffusa nel magazzino 26, che ha avuto un grande successo. Ampia condivisione delle scelte generali, ma grande delusione nel vedere le attenzioni progettuali privilegiare le marine e i nuovi insediamenti sul terrapieno. Gli interventi sui magazzini storici, a parte quelli con diretto affaccio sui bacini, venivano trascurati e rinviati a tempi più lunghi, senza considerare il carattere prioritario in quanto il deterioramento fisico e funzionale impone interventi immediati. Il grande ruolo che doveva avere l’apertura del magazzino 26 è stato disatteso, con la chiusura delle porte si è dato un messaggio negativo: o Porto Città ottiene la bancabilità o non si fa niente. Un ricatto difficile da accettare da chi si proponeva l’apertura del porto e il ritorno alla città. Invece si è offerto l’uscio di legno.

Quali prospettive per il futuro del Porto vecchio?

Sicuramente una cooperazione tra pubblico e privato, perché qualsiasi determinazione totalitaria potrebbe danneggiare lo sviluppo e la rigenerazione del Porto vecchio. Sbaglia chi crede che il futuro stia nell’abolizione del Porto franco, nella sdemanializzazione e nell’ spropriazione del Porto vecchio. Ci sono tanti interessi di cui tener conto e da accontentare… Nel Porto vecchio ci sono ancora attività portuali in essere, esistono richieste di spazi in Porto franco, così come esistono i magazzini di alto valore storico e architettonico che vanno restaurati e utilizzati. Ci sono anche quelli che fanno i furbi e quelli che fanno finta di essere “seri” e che invece di pensare alla rigenerazione del Porto vecchio tentano di consegnarlo a qualcuno o ne fanno una bandiera politica. Sono disposti a svendere i nostri gioielli per una manciata di voti. Vedremo con le nuove dichiarazioni di interesse, seppur a titolo esplorativo, di misurare le reali richieste e di collaborare con l’Ap per trovare la strada giusta per andare avanti che comunque dovrà partire dal riuso del patrimonio esistente.

Una proposta concreta?

La Fondazione Icmp (Istituto di cultura marittimo portuale) con la delibera dell’Autorità Portuale del 9 maggio scorso, ha compiti di coordinamento e supervisione sul patrimonio di archeologia industriale in Porto vecchio. Inoltre sta preparando una proposta di riuso di una parte del Porto vecchio, precisamente nei magazzini 11, 19 e 20, da destinare a giovani che vogliono in qualche modo collaborare con il polo museale o comunque ad attività culturali e marittime. Su modello dei porti del nord, come avviene ad Amburgo nell’Hafencity (il nuovo quartiere portuale) e nella Speicherstadt (la città dei magazzini storici portuali), i giovani provenienti da tutto il mondo potranno essere ospitati nella foresteria (magazzino 20) , frequentare corsi di formazione e lavorare nell’area storica del porto. Si farà spazio anche per una scuola nautica (mag. 19) oltre che creare dei mercatini tematici nel magazzino 11. Tutto questo in armonia con le restanti aree del porto vecchio. Per questo si seguirà la stessa procedura percorsa per il polo museale con una forte intesa tra Regione Fvg, Autorità portuale di Trieste, ministero per i Beni e le attività culturali e ministero per la Pubblica istruzione. Il problema è che mentre altri fanno discorsi, convegni e miseri attacchi, altri stanno lavorando in silenzio. Spesso comunque il non lavoro di alcuni danneggia il lavoro di chi si impegna.

(Foto di Francesco La Bella)

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