Regno Unito. Il fallimento del multiculturalismo, i musulmani e la lezione di Ratisbona. Intervista a Patrick Sookhdeo, direttore dell’Istituto inglese per lo studio sull’islam e sul cristianesimo

«Prima di affrontare l’islam, l’Occidente deve affrontare se stesso»




Durante un documentario mandato in onda il 13 aprile su Channel 4 sono stati resi noti i numeri di un’indagine condotta dall’autorevole centro di ricerca Icm su “cosa pensano i musulmani che vivono in Gran Bretagna”. Si è creato un ampio dibattito nel paese per i risultati poco incoraggianti del sondaggio secondo cui un giovane musulmano su quattro preferirebbe la sharia alla legge inglese, il 4 per cento si dice simpatetico coi terroristi, solo la metà dei mille intervistati pensa si debba fare di più contro il fondamentalismo. Trevor Phillips, ex presidente della commissione per l’Eguaglianza, ha commentato questi dati dicendo che «abbiamo sbagliato tutto». Per Phillips la fallimentare politica del multiculturalismo ha permesso la «nascita di uno Stato dentro lo Stato, con la sua geografia, i suoi valori e il suo stesso futuro separato dal nostro».

Tempi.it ne ha parlato con Patrick Sookhdeo, direttore dell’Istituto inglese per lo studio sull’islam e sul cristianesimo, autore di numerosi libri sull’islam, ex musulmano convertito al cristianesimo, che dagli anni Settanta si occupa delle persecuzioni subite dai cristiani.

Cosa pensa del sondaggio diffuso da Channel 4?

In generale penso sia difficile riflettere su un solo sondaggio, ma dato il campione preso in esame e il giudizio di Phillips credo che il sondaggio rappresentai uno strumento utile a orientarsi.

Phillips sostiene che la nuova generazione è messa a rischio dai valori antitetici a quelli in cui credono gli inglesi e che «il multiculturalismo ha fallito».

Ne sono convinto. Già nel 1989 scrivevo che l’approccio multiculturale era fallimentare. Infatti, sebbene fossi additato come “islamofobo”, non potevo non porre la domanda: quale sarà l’evoluzione della società multiculturale? Quando sono arrivato in Inghilterra alla fine degli anni Cinquanta, gli immigrati come me venivano incoraggiati ad assimilare la storia, la lingua, la cultura e i valori inglesi. Già negli anni Sessanta, con il revisionismo storico e la condanna del colonialismo, l’Inghilterra permise agli immigrati di vivere parallelamente due culture. Questo approccio è poi evoluto nel multiculturalismo, in cui ciascuno è libero di vivere come crede. Il fallimento di una tale impostazione, ormai ammessa da molti, ha portato alla formazione di veri e propri ghetti etnici in seno alle nostre città. Esattamente secondo lo schema del colonialismo inglese sudafricano che si voleva condannare.

Come si è arrivati a questa situazione?

Ci si è dimenticati di tenere conto di alcuni fattori fondamentali, come ad esempio il fatto che, a differenza di tutte le altre religioni, l’islam non contempla una separazione fra i precetti della fede e le leggi dello Stato. Pertanto, mentre i cinesi o gli indiani possono vivere seguendo la propria religione e nello stesso tempo abbracciare la cultura occidentale, per i musulmani fare questo significherebbe contraddire la propria fede. Motivo per cui i musulmani, non accettando il giudizio delle corti occidentali, hanno istituito i tribunali islamici in seno alle società occidentali.

Come mai i leader politici tacciono senza prendere provvedimenti?

Alcuni anni fa, durante una conferenza a Roma, era presente il comandante dell’esercito italiano che disse: «Noi europei per cosa combattiamo? Non lo sappiamo». Questa affermazione è molto interessante perché spiega che, prima di affrontare l’islam, l’Occidente deve affrontare se stesso. Avendo rinnegato le radici giudaico-cristiane, l’Occidente è diventato materialista e non sa più per cosa combattere né se esiste qualcosa per cui valga la pena dare la vita. Domandiamo ai musulmani, come nel sondaggio citato, se sono favorevoli alle unioni fra persone dello stesso sesso o cosa pensano dell’alcol e ci scandalizziamo se si dicono contrari. Questo significa che l’unica soluzione che abbiamo per integrarli consiste nel diffondere l’omosessualità nelle loro comunità o nel farli ubriacare? Oltre non ci spingiamo: senza un ideale ci aggrappiamo alla conservazione del materialismo, che però l’islam rifiuta.

Quale via si può percorrere per favorire la convivenza?

Se l’islam non accetta il secolarismo bisogna chiedersi cosa può unirci ad altri uomini e a che cosa si possano educare i giovani musulmani ma anche gli occidentali. Abbiamo qualcosa da offrire che può permettere una convivenza? Anche la Chiesa cattolica se lo deve domandare: possiamo predicare il rispetto e l’amore senza la giustizia e la verità? E, viceversa, possiamo predicare la giustizia e la verità, senza il rispetto e l’amore? Il punto è che se si separano questi termini si produce il loro contrario: la tolleranza senza giustizia si trasforma in intolleranza. Così, non volendo proporre nulla, ci ritroviamo schiavi dell’islam a temiamo di imporre un limite.

Ma oggi l’Occidente pensa che anche il proporre i valori giudaico-cristiani sia un’imposizione.

L’Occidente si sbaglia. Non conosce più quei valori, non sa più che quelli sono stati i semi dell’arte, della musica, della cucina, della poesia, della scienza, della grandezza della tradizione occidentale.

Come si fa a recuperarne la coscienza?

Credo che la via sia quella delineata da papa Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona: il ricongiungimento di fede e ragione in un Occidente che ha oscurato la prima corrompendo la seconda. Al contempo l’islam deve recuperare il concetto di ragione, superando l’interpretazione del Corano, prevalsa in seguito alla disputa teologica del XIII secolo, per cui la rivelazione e la ragione sono incompatibili. Il problema è che l’uso della ragione, che dimostra ad esempio che Dio non può volere la morte della sua creatura, è percepito come una minaccia al disegno politico dell’islam.

C’è chi sostiene, come l’esperto gesuita Samir Khalil Samir, che il terrorismo non ha bisogno della nuova ondata immigratoria perché «le città sono già occupate». Siamo a questo punto?

I politici, nonostante gli attentati, non si accorgono ancora della gravità della situazione dei ghetti cittadini e pensano che la soluzione arriverà da sé fra qualche anno, quando le tensioni saranno risolte. Ma se andiamo avanti così (anche tenendo conto della povertà crescente che alimenta la lotta per le risorse fra le etnie religiose) senza riscoprire ed educare ai valori cristiani comuni agli altri uomini, credo che il conflitto religioso sarà inevitabile.

di Benedetta Frigerio

Fonte: http://www.tempi.it

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