Si diceva che la Corte costituzionale lo avrebbe resuscitato, ma le divisioni nel Partito Democratico sembrano presagire altro. Lotte su elezioni e congresso.

Ma Matteo Renzi risusciterà?




Subito si era detto che la Sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale avrebbe “resuscitato” Matteo Renzi. Ora, invece, sembra che egli finisca nel tritacarne delle contrapposizioni interne al Partito Democratico. Anzi, sembra che il Partito stesso si stia balcanizzando, come la Jugoslavia dopo la morte di Tito.

La Corte costituzionale ha tolto pezzi alla legge elettorale, eliminando gli elementi considerati incostituzionali. La legge che risulta da questo ridimensionamento è comunque sufficiente per poter andare al voto. Matteo Renzi pensa che con questa legge egli potrebbe veramente “risorgere” e quindi preme per le elezioni a giugno e per il rinvio del Congresso del suo partito a fine anno. Perché Renzi pensa di risorgere? Perché la legge ha mantenuto la possibilità che i capilista vengano indicati dal partito. Non tutti i candidati – come nel “Porcellum” – ma i capilista. Renzi pensa quindi di riuscire a collocare i “suoi” nelle circoscrizioni sicure e riprendere il controllo del gruppo parlamentare. Bisogna infatti ricordare che egli aveva il controllo del partito avendo vinto le primarie, ma non completamente quello del gruppo parlamentare che infatti ripetutamente ha creato problemi obbligando il governo a porre la fiducia per evitare spaccature interne.

Se però si va alle elezioni subito, il PD ci va diviso e, soprattutto, senza aver chiarito bene cosa sia successo con la bocciatura clamorosa al referendum del 4 dicembre sulla riforma della Costituzione. Ci va, per di più, con un leader azzoppato proprio da quel referendum e dalle divisioni interne. Per questo motivo sia Massimo D’Alema che il governatore dalla Puglia Emiliano che il lettiano Francesco Coccia, sia tanti altri, chiedono prima il congresso, mentre sono dell’avviso di rimandare le elezioni dopo l’approvazione di una legge elettorale coerente e non fatta dai brandelli rimasti dalla scarnificazione della Consulta.

Sia D’Alema che Emiliano minacciano iniziative interne. Il primo ha trasformato i comitati per il no nei gruppi di “ConSenso”, il secondo minaccia di ottenere l’eliminazione del segretario mediante un referendum interno che lo statuto del partito prevede e che è relativamente semplice indire.

D’Alema ha anche minacciato la scissione: se nascesse un nuovo partito della sinistra otterrebbe sicuramente più del 10 per cento di voti.

Il fatto è che dopo la sconfitta al referendum il gruppo di Renzi ha ancora peccato di arroganza, clonando il precedente governo in quello di Gentiloni, mantenendo tutti i perdenti al loro posto o addirittura promuovendoli e non affrontando realisticamente il confronto interno.

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