Neoumanesimo delle grandi libertà e delle profonde responsabilità Massimiliano Stramaglia è Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, attuale Presidente del Consiglio delle Classi delle Lauree Unificate di Scienze dell’educazione e della formazione e Scienze pedagogiche presso l’Università degli Studi di Macerata. I suoi principali ambiti di interesse sono la pedagogia delle famiglie e lo studio della cultura “pop” e mass-mediatica, con molte pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue opere: “Educare la depressione. La scrittura, la lettura e la parola come pratiche di cura”, 2018 (con M. B. Rodrigues); “Una madre in più. La nonna materna, l’educazione e la cura dei nipoti”, 2013; “Amore è musica. Gli adolescenti e il mondo dello spettacolo”, 2011; “Dentro la famiglia. Pedagogia delle relazioni educative familiari”, 2009 (con M. Corsi); “I nuovi padri. Per una pedagogia della tenerezza”, 2009. Alcuni dei suoi volumi sono stati tradotti in lingua inglese e in lingua portoghese. Tre delle sue opere hanno ricevuto Premi Scientifici.

Intervista a Massimiliano Stramaglia




Neoumanesimo delle grandi libertà e delle profonde responsabilità

Massimiliano Stramaglia è Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale, attuale Presidente del Consiglio delle Classi delle Lauree Unificate di Scienze dell’educazione e della formazione e Scienze pedagogiche presso l’Università degli Studi di Macerata. I suoi principali ambiti di interesse sono la pedagogia delle famiglie e lo studio della cultura “pop” e mass-mediatica, con molte pubblicazioni e articoli scientifici. Tra le sue opere: “Educare la depressione. La scrittura, la lettura e la parola come pratiche di cura”, 2018 (con M. B. Rodrigues); “Una madre in più. La nonna materna, l’educazione e la cura dei nipoti”, 2013; “Amore è musica. Gli adolescenti e il mondo dello spettacolo”, 2011; “Dentro la famiglia. Pedagogia delle relazioni educative familiari”, 2009 (con M. Corsi); “I nuovi padri. Per una pedagogia della tenerezza”, 2009. Alcuni dei suoi volumi sono stati tradotti in lingua inglese e in lingua portoghese. Tre delle sue opere hanno ricevuto Premi Scientifici.

Da quali istanze sono dettate le scelte educative dei genitori e delle famiglie dell’oggi?
Sotto il profilo scientifico, la realtà familiare è un contesto permeabile e in continuo scambio con l’ambiente esterno. In tempi di globalizzazione crescente, le istanze sociali e valoriali si moltiplicano in maniera esponenziale e sviluppano una nuova paideia, frammentaria, che apre le porte al relativismo assiologico, alla deriva dell’io lieve e alla molecolarizzazione sociale, ossia alla nascita di nicchie subculturali e all’affermarsi di un sentimento diffuso di solitudine e abbandono. In questa cornice, i padri e le madri si confrontano con modelli diversificati, anche in contrasto fra loro, scegliendo autonomamente a quale modello ispirarsi. Ma se la scelta è ampia, non aumentano soltanto i margini di libertà genitoriale: crescono i rischi, gli imprevisti, gli smacchi e le perdite potenziali. Le famiglie, le molte forme familiari dell’oggi si scontrano con l’assenza di riferimenti socialmente condivisi e con la difficoltà di educare – o di compiere la scelta migliore – in tempi di crisi e di incertezza.

Il comma 3 dell’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948) recita: “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è un documento fondamentale che, però, è da leggersi nel suo complesso e in forma integrale ed è da rapportarsi al quadro storico nell’ambito del quale è stata generata. Con l’età moderna, ad esempio, nasce la cosiddetta famiglia fondata sugli affetti, sulla privatezza e sulla riservatezza, e, con l’avvento della società borghese, sull’infanzia: la famiglia nucleare ristretta si orienta pedagogicamente al culto e alla cura dell’infanzia, chiudendo il cerchio intorno alla figura del bambino per giustificare la propria, progressiva restrizione rispetto alla cerchia sociale allargata. Con l’età contemporanea, il ruolo della famiglia si ritaglia sempre più in ordine alla tutela del minore e nasce la famiglia puerocentrica, ossia quella che trova la propria ragion d’essere non già nella preservazione della coppia coniugale e del “dono della maternità”, ma nella stessa prole, che acquisisce diritti individuali e prioritari alla famiglia stessa nella sua interezza. Direi, pertanto, che il comma 3 dell’articolo 26 andrebbe interpretato (e a ogni modo attualizzato) semplicemente nei termini dello spirito di servizio che il padre e la madre debbono dimostrare nell’orientare i figli all’ordine e grado di istruzione a essi più congeniali.

Qual è il limite dello Stato nei riguardi della famiglia? Lo Stato odierno è uno Stato “educatore”?
Si tratta di una questione politologica e non soltanto educativa. Lo Stato deve intervenire a garantire la tutela della famiglia così come costituzionalmente intesa, pur sempre nella corretta interpretazione che della famiglia può fornire una Carta entrata in vigore nel 1948. Lo Stato interviene, di fatto, attraverso forme di assistenza, promozione e garanzia della parte più debole della famiglia: ancora una volta, il minore. Con riferimento alle politiche sociali, queste mancano in Italia e, qualora applicate, riguardano sempre e soltanto i singoli e non già le famiglie nella loro complessità multidimensionale. Così, agli asili nido subentrano le diverse forme di baby sitting da parte dei nonni; all’incentivo ai congedi parentali per parte paterna, la presenza multipla femminile; alla presa in carica della terza e della quarta età, il fenomeno della badanza a totale carico delle famiglie, e così via. I giovani, a ogni modo, confondono sovente le parole “Stato” e “Governo” e, per tale ragione, si disaffezionano alla politica, dimenticando il valore storico della democrazia. Che è un sistema di governo imperfetto, eppure il migliore possibile e comunque un bene da custodire, non un dato di fatto.

Quanto è importante l’istruzione al fine di veicolare l’educazione e la formazione?
Rovescio la domanda e rispondo, piuttosto, che l’educazione e la formazione sono importanti al fine di veicolare l’istruzione. Nei manuali di pedagogia si ritrovano diverse definizioni dei lemmi: “educazione”, “formazione” e istruzione”. Prediligo la seguente classificazione: l’educazione è un sistema ampio che comprende al proprio interno la formazione, intesa come ambito applicativo centrato sulle abilità e sulle competenze, e, quale sottosistema della formazione, l’istruzione, da interpretarsi non già nei meri termini di trasmissione di conoscenze, quanto di compartecipazione di saperi ed esperienze. Il primato, dal mio punto di vista, spetta all’educazione, perché la formazione e l’istruzione rispondono a quanto viene elaborandosi negli ambiti della scienza pedagogica. Ad esempio, una educazione “permissiva” comporta un modello di formazione lassista e un sistema scolastico e universitario centrato sullo studente e non sulla relazione didattica docente-discente, che è il cuore dell’apprendimento. Oggi, alla famiglia puerocentrica corrisponde troppo spesso un modello scolastico e universitario aziendalistico, fondato sul “cliente”. Così, cresciamo una giovane generazione di pretenziosi consumatori del “tutto e subito” e non adulti nutriti dal contenimento offerto da una sana autorità democratica ed educativa.

A fronte della nascita di nuovi metodi educativi, le competenze di aggiornamento dei genitori di oggi risultano essere sufficienti oppure occorrerebbe una sinergia di intenti fra le diverse strutture educative?
I genitori di oggi sono aggiornatissimi sulle nuove frontiere dell’educazione: leggono l’apposita pubblicistica e si rivolgono tempestivamente agli esperti qualora insorgano difficoltà, in specie se trattasi di problemi di apprendimento. Credo, nondimeno, che essi esprimano un bisogno specifico: quello di trovare risposte a fronte della nuova Babele di significati cui la società della comunicazione espone. La Chiesa, ad esempio, non ha ancora individuato delle strutture sistematiche di accompagnamento familiare che non siano i corsi prematrimoniali. Le scuole per genitori (monitorate) e dei genitori (gruppi di auto-mutuo aiuto) sono realtà ancora poco diffuse: occorrono sovvenzionamenti importanti, ma soprattutto tempo a disposizione e una società che sappia farsi comunità, spazio di dialogo e di incontro. Come pure di confronto. Un termine, quest’ultimo, che spaventa non pochi dei pedagogisti contemporanei: il confronto, piuttosto, fa crescere. Imparare a confrontarsi con l’offerta educativa e formativa odierna è esattamente ciò che i nuovi genitori si aspettano: le famiglie sono disgregate, multiformi e instabili; chi esercita responsabilità educative non può che sentirsi chiamato a elaborare risposte sensate, che restituiscano un ordine possibile al caos. La funzione di riduzione della complessità (selezionare, o scegliere, e ordinare) è la sola a poter garantire alle nuove generazioni un ambiente di crescita e di sviluppo sereno.

Quali potrebbero essere le conseguenze di un’educazione sottratta alla famiglia dalle molteplici agenzie educative esterne?
La famiglia non può che essere “porosa” nei riguardi di tutto ciò che accade al di fuori di essa: è la visione sistemica a restituire questa idea condivisa di famiglia. La sua porosità le consente, ad esempio, di aprirsi alla comunità civile e di non divenire autoreferenziale; in presenza di famiglie “impermeabili”, si aprono piuttosto le porte ai casi di familismo o di nepotismo. Il clima educativo familiare risente quasi per effetto osmosi delle dinamiche socio-politiche esterne a esso: ad esempio, negli ultimi anni è nata la teoria del genere, che ha suscitato non pochi dissensi da parte di alcuni genitori pure nei riguardi di programmazioni scolastiche curricolari o extra-curriculari rivolte all’approfondimento della questione. In una maniera o nell’altra, le famiglie italiane si sono dovute confrontare, di fatto, con questa tematica, a prescindere dell’orientamento ideologico di ciascuna di esse. Da una parte, ciò ha contribuito a relativizzare l’idea di famiglia mutuata dal pensiero cattolico; dall’altra parte, però, ha aperto un varco nel buio del bullismo omofobico, che è una piaga sociale e può indurre bambini e adolescenti ad atti autolesionistici e persino a suicidi. Se la famiglia sa proporsi come “filtro” nei riguardi dell’ambiente esterno, se preserva almeno il tempo-qualità, se i figli sono accompagnati in presenza o a distanza a seconda della loro fase di sviluppo, i rischi connessi all’esposizione socio-culturale risultano notevolmente ridotti.

I social network: quali influenze sull’educazione odierna?
La realtà mediata dalla Rete può essere pervasiva e in alcuni casi invalidante. L’accesso a realtà virtuali non ha solamente carattere ludiforme: esso consente una deresponsabilizzazione rispetto alle proprie azioni e una presa di distanza socialmente accettabile dall’umanità degli altri utenti. In fondo, il profilo è una realtà a sé stante. È proprio l’apertura delle famiglie alle istanze sociali ad aver permesso ai genitori di accedere alle nuove tecnologie in assonanza o in lieve ritardo rispetto ai nativi digitali. Le sfide educative dell’oggi, tuttavia, riguardano la possibilità di mantenimento del legame sociale a fronte della smaterializzazione dello stesso. Fra le derive odierne, gli atteggiamenti collettivi di partecipazione al dolore altrui generalizzato e l’indifferenza nei riguardi di chi ci muore accanto; la rinascita sociale del linciaggio (questa volta mediato); la perdita della dimensione privata della persona umana e, con essa, della sua dignità. L’educazione contemporanea non rinuncia a contrastare questi fenomeni e, dal punto di vista scientifico, si attrezza al loro progressivo superamento.

L’incremento della soglia di povertà, oggi: a quale forma di regressione stiamo assistendo?
La povertà è la vera emergenza sociale degli ultimi decenni. Una peste senza untori che si combatte con la scelta di ampi piani strategici di risanamento e con adeguate politiche sociali di intervento. Nutro dubbi sul valore dell’iniziativa del singolo: l’atto di carità è presenza di Dio, ma socialmente e culturalmente è una goccia nell’oceano e la goccia che scava la roccia. L’approccio “dal basso” funziona solo nei casi delle grandi rivoluzioni; nella nostra società, in cui prevalgono gli egoismi, non esiste senso comunitario che tenga se non per piccoli gruppi accomunati da un interesse privato. Dubito nella nascita di grandi movimenti. Spero, piuttosto, in una politica sempre più lungimirante, in una globalizzazione delle risorse e non soltanto dei mercati, in un neoumanesimo delle grandi libertà e delle profonde responsabilità a queste connesse.

(a cura di Chiara Galassi)

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