Questi due concetti - adorazione contemplativa e obbedienza operativa - sono stati al centro dell'omelia dell'Arcivescovo Crepaldi alla celebrazione eucaristica per l'inizio del secondo anno del Sinodo diocesano dedicato alla "fede celebrata".

Adorazione contemplativa e obbedienza operativa




Venerdì 11 ottobre in Cattedrale una solenne celebrazione eucaristica ha dato inizio al secondo anno del Sinodo diocesano, incentrato sulla “fede celebrata”, ossia sulla liturgia. L’Arcivescovo Crepaldi, nell’omelia, ha detto che «La fede, come adesione vitale a Cristo, non giunge a maturazione se non quando si esprime nel gesto liturgico e sacramentale, come accoglienza del mistero di Cristo nella propria esistenza. La fede cristiana comporta, infatti, costitutivamente una triplice dimensione: la Parola ascoltata e accolta, la conversione di vita secondo gli insegnamenti di Gesù, la celebrazione dell’evento di Cristo crocifisso e risorto nei sette sacramenti della liturgia».

«Carissimi fratelli e sorelle – ha aggiunto il Vescovo – , con la liturgia si giunge sempre al cuore del mistero cristiano; essa ci offre, infatti, la possibilità di entrare in contatto con Dio, di accogliere la sua presenza e di ricevere i frutti della salvezza, conquistata per noi da Cristo sulla croce. La liturgia è pertanto l’accettazione di Dio e della sua maestà nella nostra vita, accettazione che si esprime nell’adorazione contemplativa e nell’obbedienza operativa».

Il Vescovo ha ben chiaro che adorazione contemplativa e obbedienza operativa sono oggi due atteggiamenti trascurati, «Ma – aggiunge – quando viene meno l’adorazione che mette in primo piano Dio, si fa largo il nostro io con il suo protagonismo e le sue pretese mondane – così fortemente stigmatizzate dal nostro Papa Francesco nel suo pellegrinaggio ad Assisi – con tutte quelle nefaste conseguenze che affliggono la vita quotidiana della Chiesa: chiacchiere a non finire, sociologismi pastorali, illusioni di trasformare la realtà con le nostre forze, attivismi sterili totalmente sganciati da ogni riferimento al soprannaturale, filantropie svuotate di ogni forma di carità cristiana, utopie, anche politiche, prive di ogni richiamo al trascendente».

«Se la liturgia non viene volgarmente ridotta a teatrino per le nostre recite umane, ma si fa spazio in cui le anime possano innalzarsi per un attimo dove l’aria è più pura; possano ricevere la manna eucaristica per attraversare il deserto; possano incontrare il Mistero dell’Amore trinitario per lodarlo, adorarlo, ringraziarlo e implorarlo con cuore aperto e abbandonato alla sua provvidente misericordia, allora ragionevolmente possiamo sperare in un futuro migliore per la Chiesa e per il mondo».

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