“Via da Roma”




Nell’attuale periodo di confusione generale diffusa potrà sembrare anche un problema non proprio urgente però, anche se in piccole dimensioni, soprattutto per gli amici mitteleuropei, il problema esiste ed è questo: tra gli amanti e specialisti (o supposti tali) del cattolicesimo d’annata ultimamente c’è anche un fronte interno (che talora si rifà a prese di posizioni autorevoli dal punto di vista intellettuale), discretamente rappresentato sul web, che muovendo da un’analisi critica dell’attualità ecclesiale e politico-internazionale, non priva di qualche fondo di verità, raccoglie dei consensi facili nell’immediato scoperchiando autentici vasi di Pandora ma che – alla fin fine – cerca di far approdare i malcapitati nel sottobosco pressoché infinito delle correnti eterodosse, poi scismatiche e via via fino all’eresia e addirittura al sedevacantismo. Il paradosso è che – per esempio – nei loro riferimenti e consigli di lettura si trovano spesso testi buonissimi e persino ottimi su questo o quel singolo aspetto della fede cristiana. Ma alla fine il risultato ultimo è quello: “los von Rom”, per dirla in un tedesco luterano. Via da Roma, cioè via dall’unica via di salvezza. La follia di una simile ‘esortazione’ non abbisognerebbe di commenti in un sito come questo ma qualcosa va pur detto perché non è la prima volta che ci capita negli ultimi tempi e a sentire ben più d’una voce (soprattutto, pare di capire, da chi coltiva una spiritualità più individualistica, libresca e intellettuale, che concretamente vissuta e accompagnata dalla comunione nella e con la Chiesa). I pretesti apparenti sono i più diversi: si va da chi simpatizza con la politica di Putin anti-Bruxelles, esaltandone il richiamo al tradizionalismo ortodosso moscovita e anti-occidentale finendo con l’interessarsi più alle dichiarazioni del  Patriarcato russo che al Magistero pontificio, a chi critica la globalizzazione mondialista dei mercati senz’anima per rivendicare i diritti delle comunità che più la rifiutano arrivando finanche a simpatizzare (c’è poco da sorridere) con l’islamismo dominante perché – si dice – è meno corrotto moralmente di un Obama o un Barroso. Infine, sul versante strettamente ecclesiale, c’è chi parte da un’operazione dotta di riscoperta di questo o quel Padre o Dottore della Chiesa per far vedere quanto oggi la comunità cristiana tutta (dai vertici alla base) ne sia assolutamente distante e quindi si va a scovare comunità di ogni tipo e forma purché siano al di fuori della compagine attuale. E non parliamo qui solo della Fraternità San Pio X, ma di molto e ben altro ancora. Che cosa trarne? Beninteso, non si tratta (grazie a Dio) di folle oceaniche ma comunque qualche insospettabile caso qua e là c’è e qualcun altro, che non resta indifferente alle seduzioni di un simile giro mentale, pure. Ora, come si diceva all’inizio, in ognuna di quelle proposte critiche di lettura – diciamo genericamente e rozzamente così – prese singolarmente c’è qualcosa di vero, ovviamente: che la Russia attuale presenti degli aspetti in sé interessanti, anche spiritualmente, è vero. Così come nel fatto che il fenomeno della globalizzazione, se incontrollato, offra più sentimenti d’inquietudine (e persino di paura) che non di speranza. E, ugualmente, della grande crisi della comunità ecclesiale (che poi siamo tutti noi), che è crisi profonda di fede, di testimonianza, di carità e di santità, non ce ne accorgiamo certo oggi.            

            In tutta questa critica ci sono diversi elementi di verità: nessuno lo nega. Ma manca completamente l’altra parte che, peraltro, nei credenti dovrebbe essere invece la prima e la più importante: il fatto, cioè, che il governo della storia e della Chiesa anche nei periodi di crisi è e resta comunque nelle mani provvidenti di Dio. Da sempre e per l’eternità. Il problema, forse, allora in ultima analisi è proprio di fede. Perché il giudizio su Putin, la globalizzazione o questa o quell’altra tradizione spirituale, scuola dogmatica o teologica, più o meno condivisibile che sia, non dovrebbe toccare per nulla la professione di fede quotidiana. Altrimenti è come se applicassimo le misere categorie della politica o dell’ideologia di nostro particolare riferimento al Vangelo e alla Chiesa, che sono evidentemente tutt’altra cosa. O, almeno, si spera. E la Chiesa – disse Benedetto XVI, lasciando il Soglio Pontificio – è di Gesù Cristo, non nostra. Ci vuole anzi un bel coraggio a dire standosene comodamente seduti davanti al pc di casa al Papa come si fa il Papa o a un Vescovo come si fa il Vescovo. Magari quello che lo dice è nato pure decenni dopo e mentre Ratzinger era al Concilio doveva ancora imparare a bere il latte. Ma si sa, se ci fossimo noi alla guida del mondo, i problemi sparirebbero all’istante. Intere legioni di demoni al solo sentire il nostro nome fuggirebbero come neanche davanti a San Giovanni Battista. Perché noi sappiamo che cos’è successo veramente al Concilio, al Concistoro, nelle segrete stanze del Vaticano, a Palazzo Chigi, al Bilderberg, alla Goldman Sachs e alla Trilaterale. Sì, noi siamo quelli che sappiamo. Sappiamo tutto. E non abbiamo bisogno di maestri. Ci basta questo o quell’altro libretto-rivelatore di qualche pinco pallino qualsiasi e voilà…il gioco è fatto. Il bello è che chi arriva fino a prendere seriamente in considerazione l’uscita dalla Chiesa per cose del genere (!) a volte dice di farlo per protesta contro la modernità, che a suo dire avrebbe preso il posto della verità. Invece a noi pare che sia proprio lui il moderno: anzi, forse non c’è niente di più moderno dell’intellettualismo. Se non andiamo errati la stessa figura dell’intellettuale che vive facendo solo l’intellettuale si afferma, a livello di società, proprio nel ‘900 e particolarmente nella seconda metà del ‘900. Come figura a sé, l’intellettuale non era mai esistito a livello di massa: era semmai un artista completo interessato alla bellezza, un filosofo puro, un insegnante rinomato o un consigliere di corte che dava anche dei consigli su altri ampi, qualora richiesto, ma non faceva quello di lavoro. Nella Chiesa, poi, meno che mai, e per un motivo ben noto: la fede non è certo per gli intellettuali ma per tutti, ovunque siano e in qualunque stato nel mondo. Le parole forse più dure del Signore nel Vangelo sono anzi notoriamente rivolte proprio contro gli scribi e i farisei che, dopotutto, erano nient’altro che gli intellettuali del tempo. Erano intellettuali religiosi, e anche molto religiosi, ma restavano intellettuali: nei loro ragionamenti, come nelle loro azioni. Viceversa, le parole più tenere sono per le figure più anti-intellettuali che si possano immaginare: i bambini, emblema per eccellenza della semplicità, della docilità e dell’umiltà. Ecco, ci piace pensare che la devozione del popolo di Dio alla Chiesa sia un po’ come quella di un bambino piccolo verso la propria Madre: a volte non capisce e a volte non comprende, ma sa bene che se lui è venuto al mondo è solamente grazie a Lei. Per questo si fida ciecamente di Lei. Sa che ogni cosa Lei decida è solo per il suo bene. Per Lei si butterebbe nel fuoco, senza pensarci due volte. E se poi, magari, ha letto anche qualche volta il Vangelo, senza intellettualismi, riduzioni o supponenze, sa che lo Spirito Santo non l’abbandonerà mai. Perché scripta manent: e già questo gli basta. Le chiacchiere su tutto il resto, quindi, non lo toccano proprio. O, almeno, non dovrebbero.

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