Vasco Rossi




“Prendere la vita sul serio sarebbe logico se non fosse un inganno. E che sia un inganno lo si capisce subito”.

 

Vasco Rossi, “provocautore” come qualcuno l’ha definito, attraverso circa 200 canzoni e più di 30 milioni di copie di dischi venduti, è divenuto nell’immaginario collettivo un’icona del trasgressivo, come si evince dalle parole della celebre Vita spericolata del 1983: “Voglio una vita maleducata che se ne frega di tutto, voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormono mai”. Il Komandante con la Kappa, come viene apostrofato dai suoi innumerevoli fan in tutta Italia, non ha mai esitato a definirsi ateo, anarchico, ribelle, sostenendo politicamente nel 2006 la Rosa nel pugno dei leaders Marco Pannella ed Emma Bonino, protagonisti del Partito Radicale e delle presunte battaglie libertarie (in realtà liberticide) che tanto hanno cambiato (in peggio) il costume degli italiani. Da sempre tesserato ai Radicali, Vasco Rossi è stato colonna sonora e spot degli stessi dissolutori politici con la canzone Siamo solo noi del 1981: “Siamo solo noi che non abbiamo vita regolare, che non ci sappiamo limitare, che non abbiamo più rispetto per niente, neanche per la mente … siamo solo noi che non credono più a niente, che tra demonio e santità è lo stesso, basta che ci sia posto”. Il ribelle Vasco Rossi, nativo della provincia di Modena, già nel 1967 scappò dall’Istituto salesiano ed abbandonò gli studi successivi prima a Economia e Commercio, poi a Pedagogia, collocandosi su posizioni anarchiche, come facevano intendere le sue prime canzoni, ad esempio Ed il tempo crea eroi del 1978: “Ci si gioca il tempo dentro i bar e si prega un Dio digerendo i guai; tutto ciò è la vita, amico mio… Ma restate pure calmi lì seduti al bar con il vostro Dio ed i vostri piccoli guai. No! Non è successo niente, la vostra casa è là e nessuno ve la toccherà”. Sempre lo stesso 1978, con la canzone E poi mi parli di una vita così, Vasco Rossi voleva scuotere l’esistenza fragile contro il torpore di una vita, secondo lui, troppo contemplativa: “Io vorrei che tu provassi una volta a reagire ribellandoti a quell’eterno incanto, per vederti lottare contro chi ti vuole così innocente e banale…”. Nella celeberrima Albachiara del 1979, cantata a squarciagola ad ogni concerto di Vasco, egli sottolineava l’anelito libertario e solitario contro un mondo di coercizioni: “Qualche volta fai pensieri strani, con una mano ti sfiori, tu sola dentro una stanza e tutto il mondo fuori”. Anche la descrizione contenuta nella Diva del sabato sera alludeva allo sballo di una strega, una regina del sabato sera delle discoteche: “C’è chi dice che è una strega, tanto lei se ne frega. Ai giudizi degli altri non fa neanche una piega ; fa l’amore per gioco … fuma marjiuana di nascosto…”. L’allucinazione dei testi di alcune sue canzoni riassume lo sfascio ed il linguaggio anarchico di chi non crede più a niente, se non all’emotivismo di ogni individuo in ricerca di sballo, come nella canzone Sensazioni forti del 1980: “Sensazioni vogliamo tutti provare, non ci bastano le solite emozioni. Vogliamo bruciare sensazioni forti. Non importa se la vita sarà breve, vogliamo godere”. La rivoluzione anarchica, contenuta in alcune dichiarazioni anche recenti (2011) di Vasco Rossi: “Un artista vive sempre in fuga dai posti di blocco del conservatorismo, dell’omologazione e dell’ipocrisia…” è stata da sempre il leit-motiv , come in Asilo Republic: “I bambini dell’asilo stanno facendo casino … più di prima ci sarà ordine e disciplina e chi non vuole restare qui vada in collina e se qualcuno la vuole menare con quella vecchia storia sull’educazione, abbiamo bruciato i libri, bruciamo anche lui”. Impariamo cantando con e nonostante Vasco Rossi a non inneggiare ad una sfrenata, compiaciuta ed alla fine desolante e presunta libertà. Parafrasando un’altra sua famosa canzone: “Vado al massimo” del 1982, non si va proprio da nessuna parte lasciandosi andare sfrenatamente: “Vado a gonfie vele e voglio proprio vedere come va a finire andando al massimo senza frenare”. Altrimenti il vivere, tanto evocato nelle canzoni di Vasco Rossi, come nell’omonima canzone del 1993, non è che l’attestazione dell’esser morto dentro. Non si può cercare un senso se non si crede che ci sia un senso: “Voglio trovare un senso a questa sera, anche se questa sera un senso non ce l’ha”. Nel Manifesto futurista della nuova umanità del 2011, Vasco Rossi ha condensato la “cultura della morte” nelle frasi iniziali nichiliste: “La cosa più semplice, ancora più facile, sarebbe quella di non essere mai nati”.

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