Vita Nuova torna ad interessarsi nel numero in uscita venerdì 20 settembre della riforma del Codice Deontologico dei Medici. Nel frattempo è uscito il Manifesto di Scienza & Vita che pubblichiamo qui per intero.

Una riforma da riformare




Vita Nuova tornerà ad interessarsi, nel numero in uscita venerdì 20 settembre della riforma del Codice Deontologico dei Medici. Nel numero del 13 settembre scorso il dott. Paolo Pesce e il dott. Pierandrea Vinci hanno messo in evidenza alcune proposte di modifica inaccettabili dal punto di vista dell’etica del medico. Nel numero di venerdì 20 ci saranno altri interventi. Nel frattempo, però, è stato pubblicato un Manifesto di Scienza & Vita che pubblichiamo qui per intero.

 

Riforma del Codice di deontologia medica 2013

UNA BUONA DEONTOLOGIA FA UNA BUONA MEDICINA.

E UNA SOCIETÀ MIGLIORE.

Manifesto dell’Associazione Scienza & Vita

Convinti che la deontologia medica sia un patrimonio comune della professione e di tutti i medici e persuasi che una buona deontologia fondi anzitutto il corretto esercizio dell’arte medica e tuteli il bene comune, non possiamo tacere il nostro unanime sconcerto a fronte di gravi stravolgimenti in atto con la revisione del Codice di deontologia medica.

Deontologia” significa etimologicamente “conoscenza dei doveri” e le proposte di modifica del testo sembrano ignorarlo. Da questa premessa basilare, nascono e si evidenziano tre nodi critici principali:

  1. 1.       La perdita del senso stesso della nozione di deontologia: attraverso l’abolizione in più punti del “dovere” relativo ai comportamenti medici, si rende il codice poco più che un gentlemen’s agreement.
  2. 2.       Lo svuotamento della relazione medico-paziente: trasformata in un rapporto di obbligazioni e prestazioni in cui l’alleanza di cura cede il passo a un sistema contrattualistico.
  3. 3.       La riduzione di un testo vitale a mero mansionario: un manuale di istruzioni non esaustivo, un manifesto aziendale lontano dalla valorizzazione della professionalità. Siamo medici, non burocrati.

Inoltre, pena la perdita del senso e del significato dell’essere medico, è necessario respingere con forza variazioni ed emendamenti che minano le basi della dignità della professione e della sua opera educativa. Ci riferiamo in particolare a alle proposte di modifica dei seguenti articoli:

–          Art. 1: si prevede una generica conoscenza delle norme e scompare il dovere del giuramento – Non vi è reale equivalenza tra prestare un giuramento o sapere che questo stesso giuramento esiste.  Eliminare l’obbligo del Giuramento – ricalcando con il nuovo l’antico di Ippocrate – ne indebolisce i doveri. Oltre a ciò, si definisce il Codice come corpus normativo, assimilandolo ad una fonte del diritto e compiendo un passaggio decisamente autoreferenziale, contraddetto dalla scomparsa proprio degli obblighi espressi precedentemente dall’espressione “il medico DEVE”.

–          Art. 3: è introdotto il termine “genere”- Una parola entrata nel linguaggio comune, ma con un’accezione critica nei confronti della differenziazione sessuale biologicamente determinata. Al linguaggio medico appartiene invece il termine “medicina di genere”, che indica precisamente le cure e le terapie rivolte e adeguate per i disturbi e le patologie caratteristiche della femminilità e della mascolinità. Usare nel codice deontologico un’espressione culturalmente discussa, rischia di avallare una posizione ideologica che nulla ha a che fare con gli atti medici, ma che riguarda preferenze personali che non rilevano nella valutazione clinica.

–          Art. 4: viene mutato il fondamento – L’esercizio della professione medica non è primariamente fondato su princìpi di libertà, autonomia e responsabilità individuale, bensì sui princìpi del rispetto della vita e della salute fisica e psichica, senza le quali non è possibile affermare e coniugare i principi di libertà e autonomia.

 

–          Art. 16 e Art. 20: si introduce un pericoloso automatismo tra richiesta del paziente e prestazione medica – Il medico “tiene conto” dei desideri del paziente e li valuta correttamente in scienza e coscienza all’interno di un percorso di cura, pena lo spoglio della propria competenza specifica. E, nell’art. 20, il rispetto dei diritti fondamentali della persona non è più il fondamento della relazione medico-paziente, ma sembra che il principio di autodeterminazione stia alla base del rapporto tra i soggetti, cosicché l’unico criterio applicabile è quello contrattualistico, cancellando una sempre più profonda alleanza di cura tra medico e paziente.

 

–          Art. 17: è sostituita “eutanasia” con “trattamenti finalizzati a provocare la morte” –  Una sostituzione solo apparentemente semantica che impedisce di sottolineare la gravità deontologica di una simile condotta: il medico è sempre per la cura, non per la morte.

 

–          Art. 22: l’obiezione di coscienza è abolita – È sostituita da “convincimenti etici” o da una vaga “clausola di coscienza” che, tanto nel merito quanto nel contenuto, sono espressioni per nulla sinonimi e minano la libertà e la pregnanza dell’obiezione. Anche sul piano del diritto va sottolineato che il valore “coscienza” è costituzionalmente riconosciuto, affermato e garantito. Sono poi cancellate due caratteristiche fondamentali del nocumento che esonera dall’obiezione: “grave” e “documentato”. Vanno ripristinate, perché senza di esse si apre la deriva di una soggettiva valutazione del danno e l’articolo rende i medici meri esecutori delle richieste di tutti.

 

–          Art. 38: viene introdotta la fattispecie delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento – Non si può riconoscere forza cogente a ciò che non c’è. Ad oggi le Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) non esistono: nel momento in cui ci fosse una legge del Parlamento a definirne caratteristiche e confini, sarà la stessa norma di legge a darne il peso operativo.

Se non saranno annullate queste modifiche contenute nella bozza del nuovo Codice, emergeranno le caratteristiche di nebulosità e complessità ingiustificatamente introdotte e diverrà di laboriosa e difficile applicazione anche il ruolo degli Ordini dei Medici e dei loro Presidenti, sia nella gestione disciplinare dei propri iscritti, sia nella tutela dei cittadini che a loro si rivolgano.

Per questi motivi, dopo aver esposto nelle sedi opportune perplessità e criticità rilevate dai medici già presenti nei Consigli degli Ordini, con questo appello ci rivolgiamo a tutti i colleghi che – in quanto professionisti della salute – hanno titolo a valutare un Codice di Deontologia Medica e, allo stesso tempo, anche a tutti i cittadini che sono i soggetti destinatari della cura medica, il cui titolo ad esprimersi risiede nella dignità umana e nel diritto ad essere curati.

Il Codice deontologico è uno strumento che incide significativamente sullo svolgersi quotidiano della professione di molti e della vita di ciascuno: difendiamolo da inadeguatezze, approssimazioni ed equivoci.

Una buona deontologia fa una buona medicina e contribuisce a una società migliore, a vantaggio di tutti.

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