Un ministro per la Solitudine a raccogliere cocci di una società in frantumi




Non poteva che essere inglese il Ministro per la Solitudine, nominato ieri dalla premier Theresa May. E’ il primo del genere nel mondo, e non è detto che sarà l’ultimo. Suona tanto “Harry Potter” e forse anche per questo è stato letto più come bizzarrìa malinconica che per quello che effettivamente è: la certificazione del fallimento totale della società britannica, avamposto del nostro occidente.
Hanno subito cercato di buttarla in politica, e si sono resi subito ridicoli: quelli del partito del Labour (sinistra), hanno accusato i conservatori della May di aver contribuito alla nuova emergenza sociale della solitudine chiudendo biblioteche e centri sociali. Se così fosse, chissà quanta solitudine fino al secolo scorso, nelle campagne, nelle comunità montane, nei villaggi di pescatori, dove viveva la gran parte della gente, completamente analfabeta, e i centri sociali non li avevano ancora inventati!
Ma nella patria della pecora Dolly e dei medici e giudici che hanno fatto morire Charlie Gard non poteva che andare a finire così, e bisognerà pur dirlo a chiare lettere. Se limite e dipendenza sono visti come ostacolo alla realizzazione di sé, e non sono riconosciuti come le condizioni della nostra vita, le relazioni umane sono le prime a farne spese, a scapito dell’illusione che effettivamente ci si possa autodeterminare, cioè si possa effettivamente decidere autonomamente in tutto e per tutto della nostra esistenza. Ci si illude che si possano cancellare limite e dipendenza, e che questo elimini la fatica del vivere. E la felicità, anziché essere la difficile maturazione della persona, si confonde con il piacere momentaneo ed effimero, che invece, per definizione, non può che durar poco.
Vivere in due è faticoso per tutti, nel tempo, e quindi si rinuncia a sposarsi e le convivenze si spengono alle prime difficoltà. Avere figli non è più l’esito naturale di una relazione d’amore, ma una scelta “ponderata” che mette sempre più paura, perché poi non si può più disporre “liberamente” della propria vita: molto banalmente, con i bambini non puoi più fare la vita di prima. E non si venga qua a blaterare di problemi economici o di leggi inadeguate: è di questi giorni la notizia del crollo della natalità in Francia, paese da sempre indicato come modello per le politiche familiari (e da sempre chi scrive ha contestato questa ammirazione: in Europa nessun paese ha un tasso di natalità che supera quello di sostituzione, il che significa che qualcuno si estinguerà prima e qualcun altro dopo, ma il nostro continente sta morendo tutto quanto, senza eccezioni).
A maggior ragione gli anziani sono un problema, aggravato dal fatto che i bambini sono faticosi ma cresceranno, e poi fanno istintivamente tenerezza, ma la vecchiaia invece mette paura, perché mostra a tutti come inevitabilmente si scivola verso la dipendenza più totale, aggravata dal fatto che “non si riconosce più”, “non è più la persona di prima”; oltre che la forma fisica, sono le capacità cognitive a crollare, e questo terrorizza. E’ l’Alzheimer la temuta peste del nuovo mondo, e stavolta non ci sono untori da cercare. E allora quando guardi un vecchio temi di vedere te stesso, in futuro, e pensi che in quelle condizioni non ci vuoi proprio arrivare, e che devi essere tu a decidere quando farla finita. Anche perché non puoi contare sul fatto che qualcuno ti aiuti e resti al tuo fianco: di chi ti puoi fidare? Dell’ultimo “partner” avuto in ordine di tempo? Dell’unico figlio (su cui un genitore non vuole pesare), o di quello che non hai mai voluto? Dei parenti che non hai, perché con la denatalità sparisce anche tutta la rete di protezione fatta da cugini, zii e prozie varie? Del medico di famiglia, a cui hai lasciato disposizioni scritte dal notaio proprio per essere sicuro che le rispetti senza fare storie?
Volendo negare il limite e la dipendenza si uccidono le relazioni umane: questo è il punto. Una situazione che sta diventando diffusa nel nostro occidente secolarizzato, ben rappresentata di recente anche da un documentario di Erik Gandini, “La teoria svedese dell’amore”, nel quale si descrivono le coordinate di riferimento della società svedese: “Tutti i rapporti umani autentici si devono basare sulla sostanziale indipendenza delle persone. Se una donna dipende dal suo uomo, come facciamo a sapere che quelle due persone vivono volontariamente il loro rapporto? Non staranno insieme perché dipendono l’uno dall’altro o per esigenze economiche?”. In Svezia anziché un Ministero dedicato c’è una più pragmatica agenzia statale dotata di “squadra di investigatori” per rintracciare i familiari di chi muore da solo, e magari viene scoperto dopo mesi o anni, perché non c’è nessuno che lo cerca.
Chissà se al nuovo Ministro inglese l’idea piacerà.
di Assuntina Morresi
Fonte: https://www.loccidentale.it

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