La prima tappa del trans umanesimo e' sbarazzarsi dei malati. Il 96 % dei feti affetti da sindrome di Dawn vengono abortiti.

Trisomia 21




Il 96% dei feti umani affetti da Trisomia 21 – altrimenti detta Sindrome di Down o mongoloidismo – sono abortiti in Francia. Il motivo è semplice: la malattia è un fastidio non più sopportabile. Ne ha parlato Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, nell’intervista concessa a La Nef del primo aprile scorso. Le Méné è reduce dalla pubblicazione del saggio Le prime vittime del transumanesimo, per i tipi Pierre-Guillaume de Roux. Sono millenni che l’uomo tende a fare da sé. Dal mito di Prometeo a quello del superuomo di Nietzsche, passando per il Golem, una certa umanità ha creduto opportuno staccare il cordone ombelicale della propria volontà da quella di Dio, non solo per rifabbricare la creazione, ma per ricrearsi sulle proprie illusioni di grandezza. Per riaffermare il concetto, nel 1957 Julian Huxley coniò il termine «transumano», come sinonimo di «superuomo», di «oltreuomo» o di «postumano». Il «transumanesimo» – dice Le Méné nell’intervista – «parte dalla constatazione che l’uomo sia un esperimento fallito». Per ripartire, dunque, con un altro tipo di uomo, è necessario «sorpassare la propria natura» attraverso le biotecnologie. Evidentemente – osserva Le Méné – «se si accetta l’idea che l’uomo possa ‘aumentare’, si è costretti ad accettare anche quella che egli possa ‘diminuire’». Quell’uomo «diminuito», o semplicemente «caduto», verrà così eliminato: «le nostre leggi [francesi] già lo permettono». È il caso appunto del feto o dell’embrione malato, che è spesso tolto di mezzo per sempre. C’è tutta un’«industria procreativa» – osserva – che porta avanti programmi di eugenetica, tramite l’aborto. Si tratta, molto chiaramente di un’«anticipazione del transumanesimo», la cui prima fase è il disfarsi dei malati. Questa «è la prima volta nella storia» – commenta Le Méné – che «una politica sanitaria rende mortale una malattia che non lo è». Siamo all’assurdo: «sono coinvolte enormi risorse non per curare il paziente, ma per eliminarlo». Viene da pensare che, nonostante il fiume di danaro necessario alle industrie della contraccezione e dell’aborto, l’«industria procreativa» di cui parlava il presidente della Fondazione Lejeune, preferisca risparmiare i soldi necessari alle cure della persona affetta da Trisomia 21 e ormai nata. E vorrebbero rifondare l’uomo nientemeno che sui dati della mercificazione umana e sui ricavi miliardari delle case farmaceutiche.

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