Trieste romantica




Un uomo nuovo si affaccia nella storia della cultura e della letteratura europea tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. È l’uomo romantico, figlio di quella rivoluzione del gusto, del costume e della sensibilità comunemente denominata “romanticismo”.
Su uno sfondo di valori condivisi, in ogni nazione europea il movimento assumerà caratteri suoi propri e perfino all’interno di una medesima nazione questi caratteri a loro volta si sfrangeranno in propaggini di tonalità molto diverse. Questa compresenza di unità e di varietà, rende molto difficile una classificazione omogenea e generale di questo movimento che all’epoca divenne anche una moda e un modus vivendi nel segno dell’eccezionalità e dello straordinario. Sulla versione cartacea del nostro giornale uscito venerdì 26 maggio, a pag. 21 abbiamo pubblicato un articolo sulla Biblioteca beethoveniana di Muggia che possiede e custodisce uno dei più grandi e preziosi fondi di documenti sul musicista romantico. La scorsa settimana al Teatro Miela si è tenuta una serata musicale sul tema “Beethoven e la natura”. Il musicista tedesco, sia sotto il profilo artistico che umano ed esistenziale, rientra a pieno titolo nella sensibilità romantica europea e ne condivide tutti gli afflati e le tensioni.
Oggi il termine “romantico” è stato sottoposto ad un processo di banalizzazione, divenendo sinonimo di sentimentale e di svenevole, associato per lo più ad una sensibilità fragile e sognatrice che vive di illusioni. Ma in origine la parola, sempre all’interno di un determinato scenario culturale e letterario, aveva un significato molto più serio e profondo. Prima di diventare l’etichetta di un movimento ben delineato nello spazio e nel tempo, l’aggettivo “romantico” venne adoperato per qualificare un episodico modo di sentire rinvenibile qua e là nella letteratura antecedente al 1800. Questo modo di sentire, appassionato, sognante, amante del fantasioso e del chimerico, affascinato dal mistero e dai palpiti spirituali dell’universo, sarebbe già stato espresso in alcuni autori della classicità greco-latina, nella letteratura medioevale con i suoi romanzi cortesi e cavallereschi e i suoi poemi allegorici come il “Romanzo della rosa”, fino al poema di Dante e al Canzoniere del Petrarca. Cellule romantiche, secondo questa indagine retrospettiva, avrebbero fatto la loro comparsa nella lirica amorosa, misticheggiante e per molti tratti oscura dei trovatori e degli stilnovisti, infiltrandosi successivamente in alcuni artisti rinascimentali amanti del meraviglioso come Ariosto e Tasso, nel teatro barocco spagnolo del siglo de oro, fino ai romanzi cavallereschi inglesi del 1600.
I principi dell’illuminismo settecentesco con il suo culto della ragione aveva illuso un’intera generazione dandole a credere che l’uomo potesse tutto conoscere e dominare. A questa visione molto limitata della realtà e delle prerogative umane reagì la generazione romantica mirando a spezzare i rigidi vincoli della ragione e a ricercare dietro il visibile un’altra dimensione, invisibile e spirituale. Troppo angusta e limitante appariva già ai preromantici come Johann Wolfgang Goethe e Friedrich Schiller la visione illuminista.
Il romanticismo fu un movimento europeo che proprio per la sua intensa vocazione spirituale ha ancora oggi molti suggerimenti da darci. In un mondo come il nostro, oppresso da miriadi di cose, oggetti e occupazioni, la realtà mostra spesso solo la sua superficie. Il lievito romantico, specie quello che fece maturare e crescere i pensatori e gli artisti ancorati ai grandi valori spirituali della cristianità, può forse infondere alla nostra cultura un rinnovato orientamento speculativo e trascendente. Il movimento romantico logicamente si sviluppò per fasi diverse, dalla fine del ‘700 a tutta la prima metà dell”800, ed ebbe anime molto variegate, coinvolgendo personalità di tutta l’Europa: dai poeti inglesi dei laghi come William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge e dal tempestoso titanismo di George Byron e lo slancio idealistico di Percy Shelley, ai visionari tedeschi come Novalis, Friedrich Hölderlin, Joseph von Eichendorff e Ernst Theodor Hoffmann, dai primi cantori del sentimento e dell’effusione interiore come François René de Chateaubriand ai più maturi Alfred de Vigny e Victor Hugo, dai nostri Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi fino agli ultimi echi già gravati dall’incipiente realismo borghese di un Honorè de Balzac e di un Gustave Flaubert.
Quali sono le “parole” liriche e spirituali del romanticismo che oggi meritano di essere inserite nella prosa grigia e piena di scorie e detriti del mondo moderno? Bisogna prima individuare i valori fondanti di questa temperie, per poi ritagliare quelle ispirazioni che possono ancora parlare in modo fecondo e buono ai nostri cuori. L’uomo romantico non sopporta più le classificazioni ragionate dell’uomo illuminista, sente palpitare in sé e nel mondo circostante universi infiniti di misteri e di bellezze celate. Ostile al materialismo illuminista, scopre nell’intuizione una nuova forma di conoscenza che eleva l’anima e la appaga pienamente. Un fremito mistico percorre tutta la sua esistenza: l’amore è slancio spirituale che nelle sue manifestazioni umane mira ad incarnare la più alta forma di amore che è quella tra Dio e le sue creature. La stessa percettibile fisicità della natura e del mondo materiale esprime bellezza e senso solo se contemplata alla luce della sua origine divina. Sigillo della sovranità di Dio sulla terra è il fascino del sublime inteso come manifestazione naturale e visibile della potenza e della gloria del Creatore. Una nostalgia di ispirazioni celestiali e divine accende il cuore romantico che vorrebbe ritrovare nel mondo la fede appassionata in Cristo quale si manifestò nella vita, nell’arte e nel pensiero del periodo medioevale. Ribelle al perbenismo borghese, ai suoi attaccamenti e alla sue abitudini mediocri, al suo spicciolo senso pratico, il romantico sogna universi di luce e di infinito dove la vita trovi finalmente l’ampiezza del suo originario respiro e il suo giusto riposo. Anche se il romanticismo è strutturato su coppie opposte di valori — il rifiuto della gretta realtà può diventare ribellione distruttiva, l’amore idealizzato per la donna angelicata passione demoniaca per la maga medusea divoratrice di anime —, il suo sottofondo spirituale è “classico”, nel senso che può parlare all’uomo di ogni tempo e paese. Il suo desiderio di dilatare i confini dell’anima e della realtà è una “parola” che ci tocca, ci coinvolge, a volte anche ci travolge. Che cosa rimane oggi di spirituale nella cultura e nella letteratura? Volgendoci indietro sembra che nel corso del tempo il mondo abbia poco a poco chiuso i canali che fanno comunicare l’umano e il divino e abbia inventato strumenti sempre più sofisticati e potenti per abbattere i ponti tra cielo e terra. L’ultimo grande fremito di spiritualità infondo, se escludiamo dei casi isolati e certa falsa patina romantica contrabbandata dai decadenti come novità assoluta, arriva fino a noi dal romanticismo colto nei suoi fiori più belli. Non dai “fiori del male” di Baudelaire, ma dal “fiore azzurro” che il poeta tedesco Novalis elevò a simbolo di tutto ciò che è bello, eterno e luminoso perché spirituale e divino. Un suggerimento prezioso che ci invita a tagliare e gettare via dai nostri giardini tutta la gramigna per fare spazio a questo fiore il cui colore azzurro ben si sposa con il cielo e con il nostro desiderio di pace infinita e perfetta.

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