San Tommaso d'Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio ci spiegano perché è doveroso solennizzare l’Eucaristia e accostarsi ad essa con la dovuta adorazione.

Sul perché l’Eucaristia vada assunta in ginocchio e adorata




Nell’Eucaristia è di necessità assoluta quello che avviene a livello spirituale. È paradossalmente molto più importante – insegnano i Dottori san Tommaso d’Aquino e san Bonaventura da Bagnoregio – quello che accade spiritualmente, rispetto a ciò che accade sacramentalmente. Per questo motivo è così doveroso solennizzare l’Eucaristia e accostarsi ad essa con la dovuta adorazione, al di là del semplice mangiare: proprio per facilitare il trasporto del sentimento, il fervore della fede e la speculazione dell’intelligenza.

San Tommaso, nella Summa Theologiae, fa il paragone del corpo umano, per spiegare l’istituzione dell’Eucaristia: così come il corpo materiale, per esistere e mantenersi, ha bisogno della generazione, della crescita e dell’alimentazione – allo stesso modo l’anima spirituale ha bisogno del Battesimo (nascita), della Cresima (crescita spirituale) e dell’Eucaristia (alimento spirituale). Il motivo è il medesimo: esistere e mantenersi (S. Th. III, q. 73, a. 1). Questo sacramento è indispensabile alla salvezza, ma solo se inteso nel suo pieno significato. E il suo senso più profondo sta nella sua essenza di «alimento spirituale». Esso, infatti, «si può ricevere in due modi: spiritualmente o sacramentalmente».

Ora è chiaro – scrive Tommaso – «che tutti sono tenuti a comunicarsi almeno spiritualmente», sia tramite le specie del pane e del vino (sacramento), sia tramite la comunione di «desiderio» (ibidem, q. 80, a. 11). Se, ad esempio, si è impossibilitati ad accedere materialmente al sacramento, ci si salva con l’intenzione, allo stesso modo di chi si battezza col «desiderio», se non è possibile fare altrimenti. Tutta l’attenzione, quindi, va spostata dal mangiare materiale al mangiare spirituale, non per via del fatto che il sacramento eucaristico sia superfluo, ma poiché il primo (materia) è di necessità relativa, il secondo (spirito) di necessità assoluta, al pari del Battesimo.
Ma in cosa consiste la differenza tra il mangiare materiale e il mangiare spirituale?

Qua sarà bene seguire la dottrina di san Bonaventura. Nel Commento al Vangelo di san Giovanni, Bonaventura dice che il «mangiare» (manducatione) è composto di «tre momenti»: «la masticazione (masticatio), l’assimilazione (incorporatio) e la conservazione (conservatio)». Inoltre, «c’è un mangiare sacramentale, e quindi una masticazione sacramentale che si riferisce alla specie che viene masticata; ma c’è pure un mangiare spirituale e in questo c’è una masticazione spirituale» (VI, 90). Per il fatto che il cibo eucaristico serve all’anima, la masticazione materiale non ha dunque nessun valore, ma si deve tendere alla masticazione spirituale, che è tutt’altra cosa.

Mediante la masticazione spirituale avviene l’«assimilazione, che c’incorpora nel corpo di Cristo» e la «conservazione, per cui veniamo conservati dallo Spirito di Cristo».
Volgere l’attenzione al solo masticare sacramentale potrebbe persino condurre a due tipi di eresie, osserva Bonaventura. La prima eresia sostenne che «chi mangia il corpo di Cristo, non può più dannarsi». La seconda affermò che «se qualcuno ha mangiato degnamente almeno una volta il corpo di Cristo, poi non può più dannarsi». Sono queste due ipotesi smentite dai fatti: «molti mangiano e poi muoiono e persino si dannano, come Giuda» e, inoltre, «vi furono molti buoni nella Chiesa che poi si sono dannati» (ibidem, 93).

Come allora mangiare dell’Eucaristia? Dice il Dottore: «Chi mangia, intendi, degnamente e da questa dignità non recede, vivrà in eterno». Tre dunque sono le condizioni per accostarsi al sacramento: mangiarne spiritualmente, mangiarne degnamente, mangiarne regolarmente. Affinché, però, si verifichino tutte e tre queste condizioni è necessario che il penitente si accosti all’Eucaristia in modo del tutto differente da come si accosterebbe ad una tavola. A differenza di un qualsiasi banchetto, all’Eucaristia ci si accosta in umiltà, in ginocchio, a mani giunte, raccolti, oranti, continuando l’adorazione finché le specie non si distruggono nella digestione corporale. In mancanza di questi atteggiamenti non si ha manducatione spirituale.
Nessuno, difatti, «si salva se non si produce in lui l’effetto proprio del mangiare, che dunque si dice necessario» (ibidem, 92). Non basta la masticatio, servono anche l’incorporatio e la conservatio. E per ottenere questi effetti non è sufficiente il gesto sacramentale di mangiare il pane o bere il vino, ma è indispensabile tutto l’impianto liturgico, nella sua solennità, preparazione, ringraziamento, ecc…
Dice a questo proposito sant’Agostino, citato da san Bonaventura: «Perché prepari denti e stomaco? Basta che tu creda e hai già mangiato». E dunque «il credere è già un mangiare» (ibidem, 91).

Nel suo Breviloquium (VI, 9-10) Bonaventura specifica che «la nostra capacità di ricevere efficacemente Cristo non risiede nella carne, bensì nello spirito; non nel ventre, bensì nella mente; e la mente non attinge Cristo se non per mezzo della conoscenza e dell’amore».
Per questo – conclude – «perché uno degnamente vi si avvicini, bisogna che mangi spiritualmente, sicché, con riflessione di fede mastichi, con devozione d’amore riceva […]». Viceversa, «chi tiepidamente, non devotamente e sconsideratamente vi accede “mangia e beve la propria condanna”», come disse san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (11, 29).

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