Respinta la richiesta di referendum per l’abrogazione della riforma sanitaria

“Sono in discussione sia la democrazia sia il diritto a ricevere cure e servizi”




di Vladimir Kosic

«Qui non è in discussione la democrazia ma il diritto a ricevere cure e servizi sanitari». Così tuonava dalle pagine de Il Piccolo di lunedì scorso l’assessore regionale Telesca. L’inammissibilità dell’indizione del referendum per l’abrogazione della riforma sanitaria, approvata dalla giunta Seracchiani due anni fa, è stata votata martedì scorso dal consiglio regionale con i 26 voti della maggioranza. Se il referendum fosse stato indetto sarebbe stato necessario raccogliere 15.000 firme, ed a tale referendum avrebbero dovuto partecipare più del 50% degli aventi diritto al voto della nostra regione. Una strada tutta in salita, come ha ben detto il consigliere Marini, aggiungendo che le  dichiarazioni dell’assessore assomigliavano ad un atto di terrorismo. Strumentalizzare la paura dei circa 21 mila utenti del sistema sanitario regionale di non essere più curati da un giorno all’altro non può certo essere definito un atto di terrorismo, ma sembra tutt’altro che rassicurante e pacifico. Lasciare che i pronto soccorso si intasino sempre di più in attesa che i Centri di assistenza primaria (CAP – ne sono stati previsti 21 ma è stato inaugurato solo quello di Muggia) siano costruiti  dimostra la qualità del governo della sanità nella nostra regione. In sanità e assistenza il tempo perso è tempo perso in assoluto: ciò di cui ho bisogno oggi domani potrebbe non servire più.

Tre ore di dibattito in aula

Durante le tre ore di dibattito sull’ammissibilità o meno del referendum la maggioranza ha cavillato  su aspetti di carattere giuridico, come ad esempio che non sarebbe stato possibile porre con chiarezza la domanda sulle drammatiche conseguenze per la salute dei nostri cittadini a seguito di una riforma ideologica, cui si è cercato di porre rappezzi con improvvisazioni tipo le hostess al pronto soccorso di Cattinara e annunci sull’apertura degli ambulatori dei medici di medicina generale per 24 ore al giorno, sette giorni su sette.

Al suo insediamento l’assessore aveva dichiarato: «Abbiamo sempre detto che i contenuti devono venire prima dei contenitori, del numero delle Aziende».  Così è stato? No! La presidenza della regione,  per dimostrare la propria risolutezza, ha prima creato le cinque EAS e poi ha cominciato a lavorare sui contenuti (piano prevenzione, emergenza, e, nel corso del 2016, piani sangue, oncologico, riabilitazione e salute mentale). Le conseguenze?  L’auto medica che, secondo il Piano dell’emergenza, dovrebbe servire la loc. di S. Croce in provincia di Trieste, viene spostata a Gradisca d’Isonzo perché c’è un buco. Il Pronto soccorso di Cattinara è al collasso. Tolmezzo idem. E’ da più di un anno che leggiamo che i problemi si risolveranno con una super offerta (tipo centro commerciale…) dell’orario di apertura degli ambulatori (16 ore al giorno) dei medici di medicina generale. A ciò si aggiungeranno i Centri di assistenza primaria in ogni Azienda sanitaria. Man mano che passa il tempo e ci si rende conto del disastro si annunciano soluzioni procrastinanti che sono tanto errate concettualmente quanto irrealizzabili logisticamente ed economicamente:

Ad una domanda nel settore emergenza-urgenza (parliamo di salute!) non si risponde con una sovra offerta generica di orario ambulatoriale.

Dove, come e con quali finanziamenti si faranno i CAP?  Nei Distretti? In edifici di nuova costruzione? Se si pensa che basti un ecografo il problema non si pone certo! Ma se nei luoghi dove si dovrebbe prestare l’assistenza primaria, anche notturna, per diminuire la pressione sui Pronto Soccorso, è probabile che servirà anche qualche altra apparecchiatura…

Questioni di metodo

Ma più che le citazioni di merito di cui tutti sappiamo, a meno che non si voglia fare come le tre scimmie che non vedono, non sentono, non odono, sono le questioni di metodo che questa giunta ha dimostrato di non voler capire. In questa regione non si pianifica più, la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria sociosanitaria, luogo istituzionale in cui la Conferenza dei presidenti dei sindaci discuteva e si confrontava sia sulla pianificazione triennale e sia sulla programmazione annuale, è stata inglobata nel Consiglio delle autonomie locali. È venuto così a mancare il luogo di confronto, di dialogo, di ascolto e di condivisione con gli enti locali da parte della giunta regionale. Si tratta di un vulnus di democrazia previsto dal decreto legislativo 502 del ’92, in cui numerosi compiti erano stati puntualmente elencati dalla legge quadro sull’assistenza, la numero 6 del 2006, approvata dalla giunta Illy.

Per tre ore la presidente della regione e l’assessore competente hanno ascoltato il dibattito con un assordante silenzio più eloquente di qualsiasi parola.

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