Salotto dei Poeti: concorso di haiku




 

Dalle plaghe dell’antico Giappone, ci arriva un piccolo gioiello che il tempo non ha offuscato. È l’haiku, breve componimento poetico in tre versi rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe. Lunedì 17 febbraio, al Salotto dei Poeti ci sarà la premiazione dell’incontro poetico “Haiku d’inverno 2014”.

 

Questa puntuale promozione dell’haiku da parte del Salotto dei Poeti denota un interesse a cui sarebbe bene prestare attenzione. La nostra tradizione lirica, da Saba a Giotti, da Grisancich a Martelli fino a Marin – per citare solo alcuni dei nomi più noti – ha sempre avuto una speciale vocazione interiore e insieme impressionistica. Anche negli scorci minimi di Trieste catturati da Saba vi è sempre un intreccio tra sguardo esteriore e occhio dell’anima.

 

Questo movimento verso il fuori, che costantemente rientra in se stesso per saldare il paesaggio naturale ai paesaggi dell’anima, è il cuore stesso dell’haiku. È un movimento che richiede concentrazione, quiete e silenzio. Abituati a vivere sempre dentro le cose, sopraffatti dalla cura che esse richiedono, abbiamo perduto questa capacità di soffermarci, di intrattenerci nel gusto dell’attimo e del suo incanto segreto.

 

I quadretti brevi di Giotti e le piccole partiture di composto sentimento e malinconia di Grisancich sono già una strada verso l’haiku. Questo genere poetico è in intima sintonia con la vocazione propria ai nostri poeti. Pur essendo antichissimo, l’haiku è straordinariamente attuale poiché soddisfa un’esigenza universale dell’uomo: il bisogno di pace e di ascolto della bellezza.

 

Gran parte delle liriche di Marin sono un canto alla dorata isola di Grado, al suo popolo umile e laborioso, alle sue nebbie, alle sue abetaie, ai suoi bagliori d’oro antico all’arrivo della primavera. Pur nei suoi tormenti interiori, Marin trovò nella celebrazione del “suo” luogo, della sua piccola Itaca, una consolazione alle fatiche e ai dolori della vita. L’haiku è una figura lampeggiante, una folgore che getta luce su uno scorcio, un dettaglio, specie del paesaggio e in esso cerca un barlume di essere e di senso. La sua struttura in tre versi è un piccolo vortice di luce e di colori che cattura il lampo, l’attimo e ne illumina le segrete e tacite rispondenze con il proprio sentire.

 

Nella nostra città che non è più quella di Saba, io credo che stia molto crescendo il bisogno di armonia e bellezza. Il suo degrado è sotto gli occhi di tutti. Anche i suoi ultimi “giardini” ove cercare ristoro e pace sono sprofondati nell’incuria. Come già aveva intuito Rilke con spirito profetico, il degrado della città moderna ha cancellato le vestigia antiche portatrici di bellezza: le cattedrali, i palazzi, i giardini, i parchi, ristretti, questi ultimi, al giorno d’oggi, entro isolotti soffocanti chiusi dentro la città, pieni di rumore, caligine e tristezza. Ai bambini resta questo per giocare. Per loro fortuna non hanno mai visto i “nostri” parchi, i parchi di chi ci ha preceduto, il verde che cingeva la città come una ghirlanda di giada.

 

L’haiku rimanda a tutto questo. A che cosa lo dedicheremo? Non rimane che lo spazio interiore, con le sue memorie di altri luoghi, di altri tempi. Il canto rientra nell’anima e abbandona la natura, ormai sfigurata. E siamo più soli, più tristi, anche noi un po’ come i bambini che giocano nei parchi urbani – con la differenza che loro sono felici ugualmente, perché la loro letizia non dipende da nulla. Se ci saranno altri concorsi di haiku, partecipiamo! Non è una perdita di tempo, ma un guadagno, sia pure effimero e fuggente. Un acquisto piccolo e prezioso, una lieve sosta di appagamento del cuore per una piccola ritrovata bellezza. 

 

 

 

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