Rivoluzione e Mitteleuropa




Più passa il tempo e più la Mitteleuropa diventa simile al resto del mondo, cioè meno mitteleuropea e più anonima, o ‘globale’, come si dice adesso. Mode e stili di vita in effetti richiamano sempre più visibilmente quelli d’Occidente, che poi bisognerebbe capire quale Occidente. Lo spazio dell’intrattenimento invece, soprattutto giovanile, già da decenni – almeno dall’indomani dell’Ottantanove – non parla più le lingue locali. Quello che sorprende un osservatore esterno è l’accelerazione rapidissima del processo per cui si è passati in men che non si dica, ad esempio, dalle mense di regime ai McDonald’s senza una reale elaborazione socioculturale di quello che stava accadendo. E poi è arrivata una rivoluzione ancora più grande, e inattesa, quella di internet e dei social network che ha portato letteralmente il mondo in casa a gente che magari a malapena aveva il telefono. Da qui in poi l’omologazione generale delle tendenze è stata solo questione di tempo ma per chi ha visto – come di dice in questi casi – il ‘prima’ e il ‘dopo’ il contrasto non potrebbe essere più sconvolgente: cambiamenti che in altre epoche sarebbero stati digeriti nell’arco di decenni, se non di secoli, in questo frangente storico sono stati assimilati giocoforza in pochi anni rivoluzionando di fatto le prassi relazionali, il modo di vivere insieme nella società, la conservazione della memoria e persino le più intime dinamiche famigliari tra generazioni diverse. E’ il futuro, bellezza, diceva quello. Ma siamo sicuri di averci guadagnato? A dire certe cose oggi si passa per reazionari ultrabigotti ma, insomma, qualcuno dovrà pur dirle. Non stiamo sognando utopie verso mondi incantati, sia chiaro, né, tantomeno – per carità – incitando alla ribellione anti-sistema in stile anarcoide ma solo suggerendo che magari qualche domanda visto l’andazzo uno se la potrebbe pure fare. Partiamo da un’osservazione che si suppone condivisa, perchè reale: Praga, Vienna e Berlino sono molto più simili oggi di quanto non apparivano solamente due o tre decenni fa. Questo è un fatto. Certo il Castello, il Prater o la Porta di Brandeburgo rimangono dove sono sempre stati con tutta la loro storia e insieme il loro fascino immortale ma…tutto il resto? Se vedete anche voi quello che vediamo noi osservando i locali più frequentati come il corso principale della città mettendo insieme negozi, persone e gusti non avrete potuto notare un incredibile e crescente rassomiglianza negli ultimi tempi. Nel linguaggio pubblico l’inglese la fa da padrone ormai ovunque mentre la tradizione folkloristica un tempo sentita come orgoglio nazionale è diventata nel frattempo un museo per morti. Persino il cibo non è poi così diverso. Quello che appariva come un mero slogan pubblicitario della maggiore catena di fast-food nel mondo è diventato realtà: ovunque mangi lo stesso panino, con la stessa salsa, lo stesso retrogusto.

Voi mi direte a questo punto: ok, ma il Cristianesimo che c’entra? Secondo me il legame c’é ed è dato dal fatto che il Cristianesimo – che è un annuncio universale – inculturandosi, nella storia ha generato un’amicizia feconda con i singoli popoli valorizzando al tempo stesso le loro peculiarità come nessun altro è mai riuscito a fare. Prendete i Santi, ad esempio. Per restare nei tre Paesi citati esistono delle figure che esprimono benissimo la cultura locale più tipica eppure sono stati elevati per l’appunto a modelli universali senza perdere in nulla del loro carisma. Pensate a un Clemens Hofbauer, a una Edith Stein, o anche allo stesso Carlo d’Asburgo. Nessuno di loro si potrebbe comprendere appieno senza una reale conoscenza della storia e della cultura ceca, tedesca o austriaca di cui sono stati straordinari figli primogeniti: eppure, nondimeno, li sentiamo a noi vicinissimi…come se fossero italiani, verrebbe da dire. Ecco, è questo che intendevamo. E solo il cattolicesimo è in grado di farlo. Rispettare le identità, o la natura delle cose, se volete, elevandola però in Grazia, bellezza e virtù nel momento in cui quest’ultima accetta di farsi plasmare nell’agone – e nel perenne mistero – della libertà: questo sì che è un progresso. D’altra parte, si potrebbe pure capovolgere la questione e chiedersi dove stia mai il progresso in una società che non generi Santi. Come vedete le cose sono sempre un po’ più complesse di quanto uno s’immaginerebbe sulle prime: si comincia a parlare di globalizzazione dei mercati e si finisce a riflettere su Grazia e virtù. In ogni caso, non volevamo tirarla troppo per le lunghe: solo suggerire un paio di pensierini semplici senza troppe pretese. Il primo è che l’omologazione scriteriata di mode e tendenze non è mai una buona notizia, perchè apre la strada al pensiero unico, persino quando si parla di cose (apparentemente) senza importanza. Il secondo è che la vera cultura – come insegnava Giovanni Paolo II – ha sempre un’anima e uno spirito che la muove e la orienta al proprio fondo perchè da che mondo è mondo investe ogni dimensione dell’essere umano. Se non ce l’ha, beh, allora vuol dire che non è degna di essere chiamata cultura. Pensateci.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *