Precetto e libertà




Una delle questioni oggi meno comprese, anche in seno alla Chiesa, è come possa realizzarsi la libertà della salvezza attraverso l’obbedienza ad un precetto, così come richiesto esplicitamente da Dio: «si vis ad vitam ingredi, serva mandata» – «se vuoi entrare nella vita [eterna], osserva i comandamenti» (Mt 19, 17). Come, cioè, possano convivere precetto e libertà, verità e misericordia, giustizia e pace. La libertà, si pensa, non è forse la rottura di ogni catena? E la legge non obbliga mediante la coercizione della volontà? Non è dunque la legge la negazione della libertà?

Già nel Messaggio del 16 gennaio per la LI Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Papa Francesco specificava che, secondo il Magistero, il Regno di Dio è un «Regno di misericordia e di verità, di giustizia e di pace», senza contraddizioni al suo interno. È tornato poi su questo tema, delicato ma fondamentale, domenica scorsa (2 febbraio), durante la S. Messa per la Giornata della vita consacrata.

Per ben quattro volte – dice il Santo Padre – l’evangelista Luca specifica che Maria e Giuseppe «volevano fare quello che era prescritto dalla Legge del Signore», nel noto brano della presentazione di Gesù bambino al Tempio di Gerusalemme (Lc 2, 22-39). La santa Famiglia, obbediente, incontra Simeone, «uomo giusto e timorato di Dio», che si recò al Tempio «mosso dallo Spirito». Non solo, ma c’è anche l’incontro con la «profetessa» Anna, che «non si allontanava mai dal Tempio» e che «si mise anche lei a lodare Dio», parlando «del bambino [Gesù] a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme».

Qua il Papa associa la profezia alla libertà e la legge all’obbedienza, di modo che avviene «un singolare incontro tra osservanza e profezia». Ma in realtà – osserva il Pontefice – «se riflettiamo bene, l’osservanza della Legge è animata dallo stesso Spirito e la profezia si muove nella strada tracciata dalla Legge». Come in Maria, «piena di Spirito Santo», la libertà passa attraverso la «docilità» all’azione dello Spirito. Non solo, quindi, libertà e precetto non sono contrapposti, ma la libertà passa attraverso il precetto, tanto per Maria e Giuseppe, quanto per Anna e Simeone. E, primariamente, per Gesù Cristo, che «si è fatto obbediente» dinnanzi al Padre (cfr Fil 2, 8).

Anche nella vita consacrata – dice poi Papa Francesco – «si vive l’incontro tra i giovani e gli anziani, tra osservanza e profezia. Non vediamole come due realtà contrapposte»!

Molto è stato scritto – ad esempio in teologia e in filosofia – sul rapporto tra precetto e libertà, che in fondo è il rapporto tra ragione e volontà. Spesso, però, il discorso si è come ingabbiato su posizioni volontaristiche (primato della volontà) o razionalistiche (primato della ragione). Preferibili sono le soluzioni di san Tommaso e di san Bonaventura che, sebbene con sensibilità teologiche diverse, hanno però offerto un’antropologia di equilibrio e sinergia tra ragione e volontà.

L’attenzione non va posta erroneamente sul potere vincolante della Legge, ma sul fatto che il penitente scelga volontariamente la docile sottomissione alla Legge, che è la verità di Dio applicata all’agire morale. In effetti, è libero ciò che ricade sotto l’impero della volontà, secondo un criterio bonaventuriano. E diversa è allora la posizione dello schiavo – che vede annullata la propria volontà – da quella del penitente, che volontariamente si fa schiavo, conservando in tal modo integra la propria libera volontà e consentendone il perfezionamento sulla verità presente nella volontà divina.

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