Polonia sotto attacco e giudici über alles




Come era facile prevedere, purtroppo, il cambio al Governo di Varsavia – voluto a schiacciante maggioranza dai polacchi alle ultime elezioni – non è piaciuto a molti osservatori in giro per l’Europa, quelli che la democrazia va bene ‘finchè vinco io’ e ogni volta che perdono ne va invece della difesa dei diritti umani fondamentali.

Dopo le solite denigrazioni gratuite a Kaczynski e alla classe dirigente del suo partito, l’ultimo pretesto per attaccare l’esecutivo polacco è arrivato dalla riforma della Corte Costituzionale – che d’ora in poi avrà cinque giudici su quindici nominati dal Governo (giusto come da noi, guarda un po’) e un funzionamento interno più complesso articolato – e dal ricambio ai vertici della tv pubblica, una decisione che nel mondo della globalizzazione della comunicazione attuale può avere la stessa forza che ha una formica rispetto a un elefante. Ma è bastato questo per far gridare alla ‘svolta autoritaria’ di Varsavia e alla crisi dello Stato di diritto come fossimo davanti a uno Stato di polizia o a una dittatura militare.

L’accerchiamento dei principali mass-media europei ideologizzati è stato in particolare negli ultimi giorni impressionante. Da El Pais a Repubblica il fatto che alcune migliaia di persone abbiano manifestato contro le proposte di legge del Governo è diventato una sollevazione della società civile di popolo per la libertà, una difesa della democrazia in pericolo, una resistenza addirittura per non tornare a prima del 1989, facendo quindi intendere – senza vergogna – che il partito di Kaczynski stia portando avanti le stesse politiche dispotiche e oppressive del regime comunista fatto crollare da Solidarnosc. Anzi, il fatto che questo o quel singolo esponente di Solidarnosc oggi simpatizzi con l’opposizione al Governo dimostrerebbe proprio che la dittatura è di nuovo lì e bisogna abbatterla il prima possibile.

Ora, è difficile esprimere il disagio che rappresentazioni del genere sollevano quasi naturalmente in chi conosca almeno un po’ i termini della questione. Ma resta il dato preoccupante: la Polonia, compiendo una libera scelta in favore di determinati princìpi e valori, sta subendo una pressione informativa e culturale oggettivamente paurosa.

Se uno leggesse ad esempio i reportage montati ad arte degli inviati più schierati dei nostri quotidiani principali avrebbe il metro plastico di questa dichiarazione di guerra preventiva: il governo viene descritto come “nazional-clerical-conservatore” (e chi dovrebbe rappresentare mai se non la Nazione che è chiamato a governare? i paesi confinanti? magari gli eschimesi? forse i turchi?), neanche troppo velatamente xenofobo (il solito vecchio ritornello), i suoi sostenitori ovviamente retrogradi e ignoranti e Kaczynski viene preso in giro perché…vive con la mamma (il che finisce con l’apparire piuttosto come un bel messaggio in una classe europea che abbonda di libertini e menefreghisti) e amerebbe i gatti (testuale).

La domanda sorge a questo punto spontanea: che razza di cronaca è mai questa? ci mancava solo un approfondimento sui suoi gusti alimentari, o magari sui vestiti che indossa, e poi il quadro era completo.

Più seri e quindi discutibili sono semmai i rilievi sulle scelte politiche interne e istituzionali di merito, una cosa però vorremmo dirla a prescindere, a proposito della diatriba – ricorrente oggi in Polonia ma domani altrove, come da noi – sull’operato dei giudici e dei giudici costituzionali in particolare. Se è vero che il Supremo Tribunale dello Stato è costituzionalmente il garante dei processi democratici nel loro insieme, è altrettanto vero che ciò non basta a garantirne l’infallibilità, e nemmeno la sacralità, fosse pure di ordine ‘civile’, a Varsavia come a Roma.

Non scherziamo. La storia recente insegna che i giudici della Corte sbagliano, come tutti, vuoi perché decidono male, vuoi perché non decidono affatto, nonostante le vagonate di soldoni che prendono (persino di più del Capo dello Stato, in alcuni casi). Per non andare troppo lontano prendiamo il caso italiano: la nostra Costituzione riconosce, in via di principio, e pure come norma programmatica, il diritto alla libertà di educazione, con tutto quello che ne deriva, per le famiglie e per il sistema scolastico nazionale. Solo che c’è un piccolo particolare: questa norma fondamentale non è mai stata attuata dal 1948 ad oggi. Sono cambiate le composizioni della Corte ma nel Paese non è mai cambiato niente. Le famiglie povere hanno dovuto così rinunciare semplicemente ad esercitare questo diritto di scelta (ma come? la libertà di scelta non era il fondamento della nostra democrazia?) e quelle un po’ meno povere sono state costrette a spendere milioni e milioni di lire e poi migliaia e migliaia di euro per poter offrire un’istruzione pubblica (ma non direttamente statale) secondo il proprio progetto educativo ai loro figli. E la Corte non si è accorta di questa negazione palese e reiterata di un diritto fondamentale? Pare di no. Avrà avuto altro a cui pensare. A fronte di riforme dell’istruzione di ben poco conto e persino inutili in sessant’anni i supremi giudici non hanno mai trovato il tempo per sollevare la questione della democrazia educativa nel nostro Paese di fronte al Parlamento contribuendo quindi di fatto a legittimare l’ingiustizia di massa da Nord a Sud. Domanda: ma un giudice che legittima l’ingiustizia, calpestando persino la norma in Costituzione, che giudice costituzionale è mai?

Appunto. E volutamente non abbiamo qui preso in esame le questioni bioetiche. Si dirà che la Corte si è occupata di tante altre cose e comunque nessun Presidente della Repubblica ha mai notato l’anomalia che facciamo osservare noi. Ecco, proprio qui volevamo arrivare allora. Faremmo meglio a giocare a carte scoperte tutti quanti e a dire che anche i giudici e i presidenti hanno le loro idee e simpatie giuridiche e politiche, come tutti, perché sono uomini anche loro, come tutti. E quindi sbagliano, e possono sbagliare, eccome se sbagliano. Altroché. Perché non sono Gesù Cristo. Anzi, se vogliamo dirla proprio tutta fu un altissimo magistrato romano, Procuratore di stanza in Giudea, supremo rappresentante della giustizia di Roma a Gerusalemme a decretare la condanna a morte più ingiusta della storia: si chiamava Ponzio Pilato. E si vantava di essere, come molti altri colleghi giudici del suo tempo, un conoscitore fine e un garante del diritto. Lasciamo perdere dai, lasciamo perdere.

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