Personale di Serena Zors Breuer




Il tocco femminile si indovina subito. Nella grazia delle figure, nella tavolozza fantastica dei colori, nel rapimento onirico che travolge dolcemente uomini e cose.

Questo affascinante smalto, che attinge alla libertà del surrealismo e all’incanto della fiaba, è già riflesso nel titolo scelto per la Mostra di Serena Zors Breuer, ideata e curata da Marianna Accerboni alla Rettori Tribbio: “Sogni di luce e musica”. L’aura arcana del sogno, il bagliore inafferrabile e insieme potente della luce, la leggerezza greve e incantatrice della musica: giocando su questa tastiera di suggestioni, la Accerboni ha saputo incastonare la Mostra in un gioco di colori, richiami e suoni perfettamente intonato allo spirito della pittura della Breuer. Sullo sfondo delle luci colorate e delle immagini dei dipinti proiettate sui frontoni antichi delle case di piazza Vecchia, la favola di Khaled Fouad Allam “Il mistero della bambina e dell’albero”, ispirata al quadro di Serena ‘”Albero in fiore”, si è accordata, nella sapiente lettura degli attori Roberta Colacini e Gualtiero Giorgini, alle prime quiete ombre della sera.

In questa ideale cornice, impreziosita dalle musiche composte per l’occasione da Silvio Donati, le opere della Breuer hanno brillato in tutti i loro fuochi, come gemme incastonate nell’oro. Nata a Trieste, ma formatasi a Monaco di Baviera, dove attualmente vive, Serena già nelle sue prime pitture manifesta una speciale predilezione per lo stile naïf. La ricerca dell’artista si esercita anche nell’arte del vetro secondo la tecnica Tiffany, appresa presso l’atelier di Erika Liebl:questa tecnica trova un’originale espressione nella realizzazione di opere quali lampade e vetrate accolte con successo in diverse esposizioni.

Dopo la recente personale presso la Sala Giubileo di Trieste (primavera di quest’anno), l’artista è ritornata nella sua città con il suo corteo di “sogni”, “luce” e “musica” (dal 6 al 19 settembre), fatto di dipinti, di due vetrate Tiffany e di alcune sculture in seatite, una pietra ollare molto morbida che nelle mani dell’artista si modella con una grazia e una leggerezza vellutate, serica al tatto e riposante nelle sinuosità dolcissime.

La nota dominante dei dipinti è la trascrizione trasfigurata della realtà e della materia che la compone su un altro piano vitale, in cui forme, volumi e colori sono attraversati da un respiro che li sospinge e li fa danzare. Rapiti da queste invisibili correnti d’aria, i corpi, le case, il cielo, i prati e i monti ci ricordano sì i corrispondenti reali, ma con una levità e un dinamismo che solo l’arista riesce a vedere e ad esprimere nella loro libertà e nella loro volatile essenza.

Le case, ora simili a torri antiche ora a campanili di chiese campestri, perdono quel carattere costrittivo e monotono che hanno tanti spazi abitativi moderni in cui si ha l’impressione di soffocare. Le case danzano, si sollevano come esili ballerine sulle punte, le figure umane volteggiano sulle cose arrampicandosi su strade sinuose, simili alle liane di un albero frondoso e fantastico.

Più che figure, esse sono delle silhouette, dei figurini senza volto dai colori surreali che richiamano i modellini aggraziati di un atelier di moda dall’atmosfera fatata in cui si tessono magiche vesti per silfidi e altre creature dell’aria.

Ma il tratto surreale in questi dipinti non è mai calibrato sulla logica irragionevole del puro inconscio, bensì sugli strati più profondi dell’essere e del sentire, negli anfratti ove la vita si spoglia del suo senso comune e svolge con sapienza tutti i suoi involucri nascosti e segreti.

Di qui l’aura di sottile inquietudine che si indovina in questi paesaggi dell’anima, un’anima sognante eppure vigile, sospesa tra la visibile e invisibile, contingente ed eterno. L’effimero fluttuare del velo di Maya scopre il corpo segreto della natura e delle sue forze, le mappe sconosciute di luoghi remoti ove il sogno è signore e lo spirito profetico dell’artista si sente a casa sua, più che negli spazi noti e abituali.

I volti dagli occhi dilatati e dai colori sgargianti che vanno alla deriva nell’inquietante “Tramonto con maschere”, sono cifre di una presenza ambigua, come ambigue sono le forze della vita che creano ma anche distruggono. Chi ci guarda? Chi vigila sulle ombre e i riflessi di questo mondo fluttuante abitato da creature umane e insieme fatate?

È l’enigma stesso della vita che si affaccia dai quadri della Breuer, dispiegato con sapienza e profondità, ma mai svelato, affinché i paesaggi interiori e i sensi fisici e spirituali, così vividi e ispirati nella nostra artista, non perdano mai il grande respiro che li fa vivere e fiorire.

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