Ai nostri tempi – scrive il teologo della speranza– «abbiamo a che fare con un’inflazione del dialogo», tanto che «non è importante l’argomento che trattiamo», ma «è più importante la relazione che intessiamo nel dialogo».

Perfino Jürgen Moltmann dice che il dialogo senza verità è morto




Ci voleva il teologo luterano Jürgen Moltmann per un’apologia della «disputa». O meglio, l’affermazione sarebbe da trasformare in domanda: ma ci voleva proprio Moltmann per dire che «una controversia può portare alla luce più verità di un dialogo tollerante»? Non era già chiarissimo – in casa cattolica – che «oggi la teologia è diventata una faccenda totalmente innocua che difficilmente trova ancora pubblica considerazione»? Non era forse evidente – sempre ai cattolici – che la teologia fiacca dovrebbe essere sostituita al più presto da «una cultura teologica della disputa, condotta con risolutezza e rispetto, per amore della verità»?

E invece, dopo avere esordito con la “Teologia della speranza” (1964) ed essendo ultimamente approdato alla «teologia della Croce» luterana, ecco oggi il novantunenne Jürgen Moltmann parteggiare per la teologia del dibattito, della disputa, della controversia. Lo si legge sull’ultimo numero di Concilium, (anno LIII, n. 2, 2017, pp. 142-152) nel breve saggio “La Riforma incompiuta. Problemi irrisolti, risposte ecumeniche”.
Ai nostri tempi – scrive – «abbiamo a che fare con un’inflazione del dialogo», tanto che «non è importante l’argomento che trattiamo», ma «è più importante la relazione che intessiamo nel dialogo».

L’essenziale, insomma, per certo ecumenismo è il dialogo in quanto evento e non come mezzo per stabilire (o ristabilire) una qualche verità. Moltmann lo dice chiaramente: «Il dialogo dei nostri giorni non è funzionale alla verità». È piuttosto «funzionale alla comunione», per cui «il percorso è la meta». La meta non è più la verità, ma l’evento stesso del dialogo, nell’illusione che questo sia sufficiente a ristabilire la comunione perduta.

Il controsenso è o sarebbe dovuto essere evidente, poiché lo scisma, di solito, è stato causato proprio da una diversa posizione rispetto alla verità. Lo scisma, insomma, non si può ricomporre, se prima non si ricompone la verità. «Comunione e verità non procedono più di pari passo?» – si chiede appunto Moltmann. E infatti dovrebbero procedere di pari passo: questo almeno è stato il magistero dei pontefici durante il Novecento, in merito all’ecumenismo o alla missione del cristiano nel mondo.

Ma se anche il dialogo, come sinonimo di colloquio, fosse propedeutico all’evangelizzazione, non c’è l’evidenza dell’esaurirsi di un minimo d’entusiasmo in tal senso? Gianni Baget Bozzo al Meeting di Rimini del 2001 diceva che, secondo lui, «la stagione del dialogo è morta, anche perché il dialogo non lo fa più nessuno e nessuna religione vuole il dialogo con noi» cattolici.
C’è anche l’evidenza della scomparsa della via di mezzo: le discussioni odierne possono essere dialoghi o polemiche. Quasi mai c’è un dibattito costruttivo, per la dimostrazione di un qualcosa. Si assiste ad incontri rilassati, a basso contenuto scientifico; e si oscilla tra qualche considerazione in serenità o all’impeto eristico di chi cerca di avere ragione con foga. In genere si preferisce il monologo, perché ha il pregio di non dover essere dimostrato a tutti i costi: l’interlocutore non deve fare la fatica di controbattere, ma oppone semplicemente un altro suo monologo.

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