Perché Renzi sta con la Turchia e non col Papa




Ci andrà il premier Renzi a Erevan, oppure ci manderà qualche suo sottoposto, un viceministro o sottocapaz alla presidenza, tanto per non esporsi di persona e accontentare così capra e cavoli? Sul genocidio degli armeni, il governo sta offrendo un’esemplare dimostrazione di cinismo e opportunismo politico, tanto che il premier non ha ancora deciso se accoglierà l’invito del presidente armeno a commemorare il centenario genocidio il 24 aprile.  La soluzione potrebbe essere quella di inviare a Erevan solo una delegazione di storici che potrebbero sfruttare opportunamente la trasferta per raccogliere nuovi elementi utili all’indagine. Quella, cioè, che secondo Ankara deve ancora stabilire se fu vero genocidio oppure qualcosa di meno (piccola strage? eccidio a bassa intensità?). Del resto, fino a oggi, la linea ufficiale del governo italiano è più o meno questa: agli storici l’ardua sentenza. E pure il presidente turco Erdogan ha ripetuto la stessa cosa: «la Turchia si scuserà con gli armeni il giorno in cui il genocidio sarà provato». Coincidenze?

A richiedere la prova è anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli Affari europei Sandro Gozi: il verdetto tocca agli storici, dunque «meglio non definirlo “genocidio”, il governo non si deve esprimere». Ankara ha subito ringraziato per il non previsto assist del Gozi-Pilato, seguito subito dalle parole cerchiobottoste del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Da cattolico, il ministro condanna la reazione turca nei confronti del Papa, poi, però, evita accuratamente di pronunciare la parola genocidio. E se i primi due non bastano a dimostrare la corrispondenza d’amorosi sensi tra Roma e Ankara, ecco Federica Mogherini,  l’ineffabile lady Pesc, a confermare l’asse turco-romano. Giuliva come un’oca dice che «è fondamentale che i Paesi partner della Ue sappiano affrontare il passato attraverso dibattiti sereni», dicendosi felice e contenta di come «la società turca si sia «aperta a tali dibattiti». Qualcuno la informi che l’ambasciatore turco presso la Santa Sede è stato richiamato in patria e che Erdogan è così “aperto” al dibattito sul genocidio che ha minacciato di venire a Roma a schiaffeggiare di persona il Papa.

Ecco, se come dice Sherlock Holmes, tre coincidenze fanno una prova, la quarta dovrebbe inchiodare l’assassino senza più ombra di dubbi. L’episodio è stato raccontato dall’Huffington Post: per accordare il patrocinio a una rassegna dedicata a fine marzo al popolo armeno, il ministero dei Beni culturali Dario Franceschini ha voluto che fosse cancellata la parola “genocidio” dal titolo dell’iniziativa. Così, il titolo della mostra “Armenia, a cento anni dal genocidio” è magicamente diventato: “Armenia: metamorfosi tra memoria e identità”. Più fine e chic, ma forse il cattolico (pure lui) Franceschini ha preteso di togliere quella parola così sanguinolenta per non  turbare i bambini. Uno sbianchettamento in bello stile francese: i manifesti del  concerto all’Olympia censurati dall’avviso che l’incasso della serata era destinato alle comunità dei cristiani d’Oriente. Ma nella pattuglia dei nuovi negazionisti dell’olocausto armeno non ci sono soltanto le più belle anime della catto-sinistra soft. Da ieri è entrato anche l’ex ministro della Difesa Antonio Martino, accademico, ex deputato ultra liberal e candidato da Forza Italia alla presidenza della Repubblica. Pure lui si è messo a dare lezioni di realpolitik al Papa elogiando invece il pilatismo del governo Renzi. «La volontà di non irritare la Turchia è comprensibile», ha dichiarato al Giornale, «è un alleato prezioso e se li prendiamo a schiaffi, non ci potranno aiutare a fronteggiare la minaccia islamica e la battaglia contro il Califfato». Vabbè, l’ex ministro è fuori dai giochi da un po’ di tempo, ma qualcuno gli dovrebbe però spiegare che così nemica dell’Isis la Turchia proprio non è.

Ricerche storiche e Califfi a parte, forse la ragione di tanta timidezza è un’altra. Meno nobile e molto più pratica. Esporsi a favore dell’Armenia significa rischiare di perdere importanti partner commerciali come la Turchia  e l’Azerbaigian, da sempre contrari a catalogare gli eccidi di massa come “genocidio”. Dall’Azerbaigian partirà il costruendo gasdotto Tap, che dovrebbe sostituire gli approvvigionamenti russi e algerini. Con la Turchia, “recuperata” proprio da Renzi alla causa di Expo 2015, sono in ballo circa 20 miliardi di dollari di interscambio commerciale annuo. É per questi motivi che Renzi tentenna ad accettare l’invito alla commemorazione di Erevan del presidente armeno Serzh Sarksyan.  Se il russo Putin e il francese Hollande hanno confermato la loro presenza, il premier inglese Cameron ha spiegato che “pur comprendendo la grande importanza del centenario” il 24 sarà in invece Turchia, dove Erdogan ha fissato la commemorazione della battaglia di Gallipoli del 1915 (quando gli ottomani fermarono l’esercito alleato) mai in precedenza celebrata il 24 aprile. Eppure l’Italia è tra quei 20 Paesi che hanno già riconosciuto (nel 2001) il genocidio armeno, ma forse i Renzi boys non lo sanno.

Okkei, venti miliardi son mica bruscolini, ma allora perché non dirlo apertamente? Questa quinta colonna turca è poi la stessa che nelle cerimonie ufficiali, nei tweet e anche nei quiz non si vergogna di appellarsi alle “comuni radici cristiane dell’Europa”, alla necessità di costituire sante alleanze contro i tagliagola islamici, di indignarsi contro improbabili rigurgiti nazisti se qualcuno mette in discussione l’utilità delle Giornate della Memoria e delle ritualità antifasciste. Intanto, sul genocidio degli armeni oggi si comportano come quelli che di fronte alla Shoah fanno le pulci sulle cifre, invitano a considerare il contesto della Germania in quegli anni e  che in fondo sullo sterminio degli ebrei gli storici non hanno ancora detto tutto. E volete che questo governo possa un giorno ottenere la liberazione dei marò italiani detenuti da più di tre anni in India o quella di Asia Bibi, la donna cattolica condannata a morte in Pakistan? Macché Bibi, Renzi al massimo ci ridarà Bubu, l’amico dell’orso Yoghi.

di Luigi Santambrogio

Fonte: http://www.lanuovabq.it

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