Pennello in libertà




Contemplazione, ascolto, meditazione, creazione e libertà dello spirito: nel grembo di queste disposizioni interiori, madri di ogni autentica esperienza poetica, la raccolta di 101 haiku “Zuihitsu”, sbalzata e cesellata con intuito finissimo da Tommaso Bianchi, fiorisce alla vista e all’udito esteriori ed interiori del lettore/ascoltatore come una ghirlanda di suoni e di colori delicatissimi e rari. La stessa struttura dell’haiku, composto di tre versi rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe, è limite e concentrazione ma al contempo apertura infinita ed espansione illimitata, essendo la brevità in poesia, specie quella giapponese, più eloquente di un trattato di filosofia. L’allusione, la metafora fulminea, il lampo che squarcia il buio, il gesto lieve e gentile, la beltà di ciò che fugge: nulla è più affascinante, rivelatore e denso di significato dell’essenzialità e dell’illuminazione fulminea dell’haiku.

Bianchi, che da anni pratica la poesia con una passione speciale per la letteratura e la lirica del Giappone, ha già pubblicato cinque sillogi di haiku, oltre a un libro di riflessioni bibliche, “In dialogo con l’anno A e altre riflessioni” e il romanzo “Samsara”.

Il titolo dell’ultima silloge, “Zuihitsu”, è una parola giapponese che significa “seguire il pennello” (in senso letterale “penna in libertà”): un significato che è già una dichiarazione poetica ed esistenziale, che allude ad uno stile di vita, di pensiero e di espressione estetica. La traslitterazione in copertina della parola giapponese negli ideogrammi corrispondenti, incarna nelle sue movenze leggere e ondulate, nel suo slancio flessuoso e delicatissimo, l’essenza di questa libertà del pennello nell’inseguire le mute voci e le segrete risonanze dell’universo in ogni sua manifestazione.

Il tocco lievissimo e prezioso del “pennello” di Bianchi si intuisce anche nell’articolazione del testo: le folgoranti poesie incastonate in vasti spazi bianchi, figura del venire all’essere e del fiorire meraviglioso della creazione tutta da un grembo di luce purissima e accecante. Già questa incastonatura di parole preziose smaltate di oro ed argento su uno sfondo immacolato è dichiarazione poetica, che per metà svela e per metà vela di nuovo. Questo velare di nuovo non è un nascondere, ma un ri-velare che mostra senza profanare e custodisce senza gelosia o senso del dominio. Questa rivelatura rivelante nomina e canta l’innominabile e il silenzioso, ma con un pudore rispettoso e ammirato che preserva il canto rarefatto dallo scialo o dall’equivoco del troppo rumoroso dire del mondo. Questa attitudine riservata e quasi schiva, che è condizione per fare spazio in sé alle voci delle cose tutte, ha radici sacre che arrivano al cielo, il cui azzurro spesso tinge di serena pace e di riposo lo stesso cimento creativo. Quasi ci fosse un patto tra il poeta, che canta il suo amore per il creato e il creato, che per la gratitudine ai suoi versi gli dona l’estatica immobile gioia dell’illuminazione suprema. Così il canto e l’oggetto del canto si abbracciano e divengono una cosa sola, un unità mistica in cui colui che canta si rimira nelle immagini dei suoi versi e vi riconosce il proprio senso e il proprio destino.

Ed è l’origine sacra di questa poesia lampeggiante e numinosa a decantare le facoltà del poeta e le sue fonti di ispirazione. Gli haiku di lode all’inviolabile spirito divino lo manifestano con voce sommessa e palpitante, mai trionfale o retorica: «Come una coltre / ti distendi su di noi / padre celeste». Lo stesso stupefarsi e annichilirsi al cospetto dell’Eterno si fa cifra del poetare: «Come una foglia / vibravi al suo cospetto / e profetavi». Il verso è vibrazione dell’essere che, scuotendo l’anima, la rende profeta delle miriadi di voci sommerse e delle infinite espansioni sonore dell’oceano del cosmo.

Le pennellate in libertà che colgono l’attimo perfetto dei fenomeni attingono a dei colori composti su una base immutabile di bianco luminoso che li rende leggeri, inafferrabili, spirituali. «La vibrazione / risuona dall’eterno / ed ancestrale»: il ritornare ciclico della parola “vibrazione” fa sbocciare tra sillaba e sillaba, tra verso e verso, gli echi del Verbo che risuonano nel silenzio interiore ed esteriore del poeta, echi prolungati, misteriosi, pacificanti che nel dettato lirico di Bianchi si fanno segni e simboli dell’ancestrale “E la luce fu”, che dà l’abbrivio alla musica dei suoi haiku. Solo in virtù di questa luce che non ha principio né fine i colori, le musiche e le parvenze del fluttuante mondo creato, della natura imperturbata e dell’anima che canta, possono brillare e risuonare all’orizzonte del tempo terreno.

Un tempo pieno, non divoratore di attimi, ma equilibrio perfetto dell’infinito di Aion con l”illuminazione risolutrice di Kairòs. Il Qui ed Ora, negli haiku del poeta, sono anche l’Altrove e il Sempre, l’occasione del momento, da cogliere nel suo istantaneo fiammeggiare, e insieme l’annuncio salvifico e liberatore della permanenza dietro l’impermanenza. In questo senso Bianchi realizza la vera essenza del poeta e della poesia, nel loro ancestrale legame con la profezia e la sacralità, con i misteri iniziatici e il segreto magico dei simboli. Ed ecco sfilare, di haiku in haiku, tanti cammei vividi e splendenti con l’effigie del cielo azzurro, del tenero verde delle piante, del mare che respira come se si stesse addormentando, dei parchi colmi di ricordi e nostalgia, delle creature tutte che con le loro movenze misteriosamente belle e incantatorie deliziano l’anima solo se sa essere umile e ospitale. E gli uccelli con il loro piumaggio, i frutti, i porti vicino al mare ombreggiati di abetaie, le farfalle “ebbre” sui fiori “d’arancio acceso” che sono occhi d’angelo che scrutano dall’infinito il finito per soffiarvi sopra quella impalpabile polvere d’oro che solo il poeta vede. Il sapore di un caffè forte, il gusto aromatico del tabacco e l’armonia delle volute di fumo che simboleggiano il movimento del pensiero nel suo slanciarsi verso l’alto, il calore del sole estivo e la freschezza del mare sulla pelle accaldata, il profumo dell’aria, a tratti anche radi dardi di rumore portato dai prepotenti, dagli ingannatori e dagli indiscreti — «Svariati umani /inconsapevolmente / turbano il parco».

Ma la poesia vince il rumore, più alto si leva il suo canto e il poeta regalmente, con sacrale sapienza, dispensa nel suono l’elisir della mitezza e della bellezza, attento alle “connessioni, tra cose, cose e cose”, protettore “con brevi versi” del “suo santuario” e rabdomante paziente e visionario di “sorgenti di sapienza”.

E mentre i mondi, gli universi, le creature e gli astri di tutti i firmamenti si srotolano come pergamene miniate di simboli sacri, sempre accompagna il poeta una fiducia profonda e antica: «Un cielo azzurro / cupola benevola / ci accompagna».

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