Papa Francesco, il Sinodo e l’Humanae Vitae




Pubblichiamo in traduzione un articolo comparso su “Le blog du Synode” del quotidiano francese La Croix. 

di Thibaud Collin (La Croix)

In questi giorni che precedono il Sinodo, la Chiesa è in un subbuglio che ricorda quello dell’aspro dibattito sulla contraccezione. Ricordiamo che Giovanni XXIII aveva deciso di estrarre la questione del controllo delle nascite dai dibattiti conciliari, istituendo una commissione incaricata di consigliarlo sul tema. Composta da vescovi, teologi, medici e da coppie di sposi, tale commissione fu poi confermata e ampliata da Paolo VI.

Dopo intense discussioni la commissione consegnò il suo rapporto che, a larga maggioranza, preconizzava di riconoscere la legittimità della contraccezione artificiale nel matrimonio cristiano. Questo rapporto segreto trovò presto spazio sulla stampa internazionale. Si dovette attendere più di un anno perchè Paolo VI, nel giugno 1968, pubblicasse l’enciclica Humanae vitae, ricordando la posizione tradizionale, come Pio XI e Pio XII avevano confermato.

Ricordiamo lo scandalo mondiale che il testo papale generò e lo spirito di contestazione che soffiava in molte conferenze episcopali. Possiamo dire che la crisi della Humanae Vitae non si è mai chiusa. La questione è passata in secondo piano in quanto l’interpretazione che molti vescovi e teologi hanno dato ha praticamente squalificato l’enciclica agli occhi di molti fedeli, per i quali la questione morale non si pone neanche più.

In nome di una coscienza vista come autoregolatrice le coppie cristiane possono considerare l’insegnamento del Magistero come un elemento tra gli altri per le loro scelte. Il lavoro fondamentale di S. Giovanni Paolo II, in particolare nelle sue catechesi sul corpo (1979-1984), ma anche nella sua grande enciclica Veritatis Splendor (1993), non è sufficiente a invertire la tendenza sulla questione in particolare e sulla morale coniugale in generale.

Una delle sfide del prossimo Sinodo sulla famiglia (ottobre 2014 e ottobre 2015) si concentra sull’accesso dei fedeli divorziati risposati civilmente ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Ancora una volta, molti vorrebbero che la Chiesa cambiasse la sua dottrina e la sua disciplina per consentire loro, a determinate condizioni, di ritrovare la via dei sacramenti.

Alcuni credono che Papa Francesco sia a favore a un tale sviluppo. Non ha forse chiesto al cardinale Kasper di aprire i lavori del concistoro di febbraio 2014 dedicato a questi temi? Ora il cardinale Kasper è stato per decenni a favore di un cambiamento. Inoltre, davanti a tutti i cardinli, Papa Francesco ha lodato il discorso del cardinale Kasper. Da allora, non passa giorno senza che un vescovo, un teologo o un giornalista non sostenga che il Papa si augura sinceramente una tale riforma.

A mio parere, si dovrebbe essere molto più prudenti in questa materia. In primo luogo, il Card. Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha pubblicato un paio di settimane dopo le dichiarazioni del Papa al suo ritorno da Rio (dove ha accennato a un possibile cambiamento) una nota che ricorda i fondamenti dottrinali della disciplina sacramentale. Ma una tale nota non potrebbe essere stata pubblicata senza il consenso del papa. Inoltre, deve essere letto attentamente ciò che Papa Francesco ha detto nella sua intervista al Corriere della Sera del 5 marzo 2014 circa l’enciclica Humanae vitae: “Dipende da come l’enciclica ‘Humanae Vitae’ è interpretata. Lo stesso Paolo VI, alla fine della sua vita, raccomandava ai confessori di essere molto misericordiosi e attenti alle situazioni concrete. Ma il suo genio fu profetico, ebbe il coraggio di alzarsi in piedi contro la maggioranza, di sostenere la disciplina morale, di mettere in gioco un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro. Il problema non è quello di un cambiamento nella dottrina, ma di un lavoro in profondità, che dovrebbe garantire che la pastorale tiene conto delle situazioni e di ciò che le persone sono in grado di fare.”

Questo elogio di Paolo VI non è certamente da mettere da parte per capire come il Papa sta prendendo in considerazione l’intera questione. Non dimentichiamo che ha dichiarato al padre Spadaro di essere “furbo”.

E se Papa Francesco avesse voluto mettere sul tavolo ciò che fino ad ora è rimasto avvolto in una sorta di non detto? Perché mettere questo in piena luce? Per cambiare la dottrina e la prassi della Chiesa? Io ne dubito da colui che ha detto “Io sono figlio della Chiesa.” Colui che continua a ricordare la radicalità del messaggio evangelico e si rifiuta di misurarlo con lo spirito del “mondo” rischia di deludere tutti quelli che lo considerano come colui che finalmente farà evolvere la dottrina e la disciplina cattolica per renderla più credibile agli occhi dei contemporanei.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *