“Orfeo in Paradiso”: un libro per le vacanze




Una favola stupenda, commovente, tramata con tocco sottile sul filo del paradosso. Un libro da leggere o riscoprire in queste torride giornate estive e che proponiamo ai nostri lettori per il periodo delle nostre vacanze d’agosto. Si tratta del romanzo dello scrittore milanese Luigi Santucci (1918-1999) “Orfeo in Paradiso” (1967), un piccolo, struggente, a tratti anche divertente miracolo di poesia, fabula e sottile penetrazione psicologica. Immaginiamo un giovane uomo che non sa rassegnarsi alla morte dell’amatissima madre e che è pronto a tutto pur di rivederla. Ma rivederla non gli basta tanto è lacerante l’amore che prova per lei e tanto lo assilla fino allo spasmo un terribile senso di colpa nei suoi confronti. È stato un bravo figlio? O si è comportato, come spesso accade, da egoista e da ingrato? L’unica cosa di cui è certo, quando decide di imbarcarsi nella luciferina impresa di tornare indietro nel tempo così da rivivere per intero l’esistenza della madre fin dal momento in cui viene concepita, è che senza di lei non può vivere e che deve avere assolutamente una seconda occasione per renderla felice e non ripetere le proprie mancanze verso di lei.

Da qui si diparte una favola ricca di colpi di scena, perennemente sospesa tra farsa, commedia e dramma, interamente centrata sulle prodezze di questo novello Orfeo che, intrappolato in un patto faustiano di cui all’inizio ignora i possibili pervertimenti, ritorna nel passato e studia mille modi per essere presente a tutti gli eventi che hanno scandito la vita della madre. Ma il suo intento non è solo quello di condividere con lei il regolare e prefissato accadere degli eventi bensì riuscire a mutarne il corso non sempre felice volgendolo immancabilmente a buon fine. La vede nascere, crescere, fidanzarsi, sposarsi. Ma via via che partecipa a ogni più piccolo evento della vita della madre, fino al momento in cui lui stesso, presente in quell’attimo in carne ed ossa come persona adulta e insieme appena concepito nel grembo materno, il protagonista sente crescere nell’intimo della sua coscienza la percezione tremenda delle sconvolgenti derive di questa sua interferenza soprannaturale nel normale e ordinato corso delle cose. Come sarà il destino della madre ora che il passato è stato stravolto con l’inserzione di un fattore innaturale, nuovo e incontrollato quale la presenza di Orfeo adulto in un tempo in cui lo stesso Orfeo non esisteva o esisteva solo come seme germinale di vita? Passo dopo passo questa irruzione prodigiosa del presente nel passato influenza e cambia il fato della madre e insieme del figlio. I due, riuniti sul filo del tempo come due coetanei legati da una misteriosa e spontanea simpatia piena di affetto, si ritrovano avvinti nell’abbraccio puramente ideale di un’affinità elettiva che acuisce fino allo spasmo il loro amore. Nasce così, al di fuori del controllo e della volontà stessa del protagonista, un rapporto di misteriosi assensi e influenze in cui a cambiare sono le vite di entrambi, in un incrocio funambolico tra passato, presente e futuro. Il finale è stupendo e sconvolgente ad un tempo.

“Orfeo in Paradiso”, che fu insignito del prestigioso Premio Campiello del 1967, si legge tutto d’un fiato, incantati, affascinati, turbati, toccati nel profondo dalla storia d’amore tra un figlio e la propria madre, tra Orfeo e la sua novella Euridice. Saprà questo Orfeo moderno non voltarsi indietro? Riuscirà infine a dare alla propria madre una seconda possibilità di vita più felice e tranquilla? È un po’ il sogno di tutti quello di avere sempre una seconda possibilità per rimettere a posto cose lasciate in sospeso, chiarire malintesi, rimediare ad errori e mancanze, cancellare  inconfessate colpe e meschini tradimenti. Ma se quel sogno fosse possibile e realizzabile? Non si viola impunemente una legge di natura, sembra suggerirci con infinita tristezza l’autore di questa storia straordinaria che ha il doppio volto di una fiaba delle più fiabesche e insieme delle più realistiche e vere nei sentimenti narrati e cantati sul crinale tra la terra solare della vita e le ombre sfuggenti dell’Ade.

Questo doppio volto di erma bifronte imprime al romanzo la leggerezza di un iridescente gioco della fantasia su cui grava tuttavia in modo silente un tragico presentimento di sconfitta e di incombente disastro. Questa compresenza di luci ed ombre dona al personaggio l’euforia di un novello Faust, convinto di poter riscrivere il destino cancellando ogni macchia e riparando ogni frattura, e insieme l’abbattimento disperato di Orfeo che vede chiudersi davanti agli occhi le porte della morte e capisce che non rivedrà mai più viva, in carne ed ossa, l’amata perduta. Il sottofondo mitico, gli intermezzi ironici e bonariamente irriverenti nella caratterizzazione fisica e psicologica dei personaggi, le invenzioni, l’avventura e l’imprevedibile corso degli eventi, sono come un velo scintillante e colorato calato su un volto sfigurato dal dolore, consumato dal compianto inconsolabile per l’irrimediabile perdita delle persone care che prima o poi tocca ad ogni uomo. La perdita della madre in questo romanzo assume le proporzioni di una delle tragedie più sconvolgenti della vita, come ci ha narrato lo scrittore francese Marcel Proust (Parigi 1871 – 1922) che non si consolò mai per la morte della madre e come ci confida Santucci con il suo “Orfeo in Paradiso”.

Quest’opera, ad ascoltarne le voci segrete e i palpiti profondi, ci appare come un mirabile e ammaliante prisma incantato le cui facce colorate hanno proiettato sulla pagina in forma trasfigurata e lirica il dolore che l’autore stesso provò allorché morì l’amatissima madre Eva. Un dolore così straziante, forte e inconsolabile da rendere necessario l’ausilio e il divagare del gioco creativo della scrittura, così da attenuare con l’invenzione e le prove dell’ingegno la devastazione di quel lutto al momento insopportabile, nell’attesa che il tempo, gran gentiluomo, lo sprofondasse in uno degli anfratti più appartati dell’anima dove una parte di noi non smette mai di piangere in silenzioso segreto i propri morti.

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