Non c’entrano né i sentimenti né i diritti.




Mercoledì 27 maggio 2015, sui due principali quotidiani nazionali, una coppia di eminenti principi della Chiesa cattolica hanno risposto pensosi alla “sfida” posta dal referendum irlandese che ha approvato a larghissima maggioranza il “same-sex” in Costituzione, cioè il diritto al matrimonio di persone con lo stesso sesso e, di conseguenza, l’archiviazione del matrimonio come istituzione riservata all’unione di un uomo e una donna.

Più in generale, Americhe ed Europa stanno completando il processo legislativo che ha portato il mondo occidentale a introdurre l’indifferenza sessuale in materia di istituto matrimoniale e, di conseguenza, dato che all’origine di ogni nuova vita c’è sempre l’incontro di un maschile con un femminile, a introdurre e a legittimare, per tramite l’innovazione e potenza della tecnica, le più immaginifiche e fantasiose esperienze di filiazione, maternità e paternità surrogate.

Questi sono i problemi connessi al riconoscimento delle unioni e dei matrimoni fra persone dello stesso sesso. Non l’amore (che non si nega a nessuno). Non i diritti (che avrebbero mille vie di diritto privato per essere tutelati). Non che qualcuno è “tradizionale” e “per fortuna il mondo cambia velocemente” (che a tutti piace cambiare e tutti ci sentiamo molto gay friendly). I problemi connessi al riconoscimento politico, legislativo e civile dell’indifferenza sessuale in materia di unioni e matrimoni sono:

La “produzione” di nuova vita umana attraverso il ricorso a tecniche extracorporee (fornitura di sperma e ovociti fecondati in laboratorio e quindi impiantati in utero) e tecniche corporee (fornitura di cosiddetto “utero in affitto” – cioè esterno alla coppia gay – dopo l’avvenuta fecondazione in vitro; oppure ricorso a un partner di sesso diverso dalla coppia omosessuale acquisito come fornitore di prestazioni sessuali al fine di dare un figlio a uno o più componenti un determinato nucleo affettivo).

La “produzione” di “nuove famiglie” dove la vita (il bambino) si trova accolta e amata, accudita e educata nel suo processo di maturazione psichica e fisica, nel suo “entrare nel mondo”, non necessariamente da un padre e da una madre, ma possibilmente (e psicologi tedeschi ora sostengono “migliorativamente”) da persone dello stesso sesso invece che da una madre e da un padre.

La “produzione” di vita umana in cui le linee di parentela e di filiazione si oscurano e si confondono (ai donatori del materiale biologico atto alla produzione di un essere umano viene infatti garantito per legge l’anonimato e, generalmente, essi hanno l’obbligo di sottoscrivere un contratto in cui si impegnano a non rivendicare in futuro la paternità o la maternità del figlio nato dalla donazione del loro seme o ovocita).

Le esperienze di “maternità” e “paternità” subiscono un processo di decostruzione radicale.

Ritornando ora ai due eminenti uomini di Chiesa sopracitati – il cardinale Angelo Bagnasco e il cardinale Walter Kasper, rispettivamente il numero uno della Conferenza episcopale italiana e l’estensore del documento base che aprirà in ottobre il secondo e conclusivo Sinodo sulla famiglia – a noi pare che le problematiche sopra descritte non riguardino la questione culturale, sentimentale, morale, religiosa, dogmatica eccetera dell’omosessualità. Non c’entrano con la tesi degli «opposti pasdaran» (come disse qualche giorno orsono Sua Eminenza monsignor Galantino) o con l’alternativa tra “fare le barricate” o «trovare un linguaggio nuovo che sia comprensibile soprattutto ai giovani» (Kasper). Non riguardano neppure il tema del “dialogo con i gay”, come riduttivamente è stata interpretata l’ampia disamina offerta da Bagnasco al Corriere della Sera. Per carità, abbasso i pasdaran e viva il dialogo. Però, le problematiche succitate dicono di fatti e realtà che si impongono e che impongono una scelta: remissione o lotta? Adattamento o resistenza? Insomma il problema è: che giudizio ha la Chiesa sull’uso e sullo sviluppo capitalistico della “questione sessuale”?

La ri-definizione dell’istituto matrimoniale come ambito dell’indifferenza sessuale si traduce nei fatti, al di là dei sentimenti e delle buone intenzioni dei singoli, nell’asservimento del maschile e del femminile (così come essi si trovano in natura) alla potenza della tecnica (che fa incontrare maschile e femminile nelle più immaginifiche e fantasiose vie della tecnologia corporea ed extracorporea). Si traduce in tutto il diritto al soggetto desiderante e fabbricante. Nessun diritto all’ “oggetto” del desiderio (l’essere umano) che viene al mondo fabbricato e variamente manipolato (perché poi lo si desidera con certe caratteristiche e, per il suo “bene”, con un certo database cromosomico e di dna).

Ora, giustamente gli uomini di Chiesa appaiono preoccupati del “contesto” di consenso che circonda il matrimonio gay e che non considera le questioni necessariamente implicate in questo genere di unione che non ha in sé il potere di dare la vita e quindi deve per forza esternalizzare il concepimento e la riproduzione umana.

Ma poi sembra si facciano trascinare e depistare sul tema (molto sdrucciolevole) dell’amore e su quello (molto scontato) dell’accoglienza. Ma gli uomini di Chiesa non ci devono ripetere se e come le persone omosessuali ci testimoniano “amore” e perciò devono accolte, ascoltate, rispettate. Sono problemi che non si pongono. Tutte le persone sono persone. Tutte ci testimoniano “amore”. Tutte vanno accolte, ascoltate, rispettate. Gli uomini di Chiesa però, questo sì, lo devono fare: devono decidere se e come intendono definire una resistenza all’uso dell’omosessualità come Cavallo di Troia per introdurre nella polis, nella città, nel mondo comune, la catena di montaggio della vita umana e di smontaggio della famiglia come “comunità naturale”. Gli uomini di Chiesa devono decidere se fare resistenza e sostenere la ragione e la contestazione pacifica, umana, laica, non confessionale, al capitalismo “colonizzattore” (papa Francesco) e produttore di nuova umanità.

O se appoggiare, sia pur con moderazione e qualche riserva morale, il potere del “Creatore” capitalista.

di Luigi Amicone

Fonte: http://www.tempi.it

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