Noi Mitteleuropei davanti a Santa Teresa Benedetta della Croce




Il fascino perdurante della Mitteleuropa, oltre che nei tanti luoghi incantati che sembrano essere stati immortalati così per sempre dalla mano Creatore e nella storia raffinata, racchiusa, perfino disegnata, sui divani dei cafè di Vienna e tra le pareti dei musei di Praga dove si può toccare quasi con mano che cos’è stata la civiltà europea in anni migliori di questi, è anche – inutile negarlo – in quell’atmosfera di mistero, velatamente e malinconicamente drammatica, che la parola suggerisce. Non ricordo più chi dei grandi scrittori austriaci di fine Ottocento disse che la Mitteleuropa, più che da un’indicazione geografica, è rappresentata da un destino. Voleva dire che per chi è nato da queste parti è una specie di vocazione meta-temporale, qualcosa che oltrepassa il tempo in cui vive, d’impalpabile e imprenscindibile insieme, un orizzonte a cui è impossibile sottrarsi. Il fortunato omaggio, critico e popolare, che ha ricevuto, e continua a ricevere post-mortem, l’ultima creatura politica dello spirito mitteleuropeo, ovvero l’impero asburgico, sembra confermarlo. Quell’impero, con i suoi problemi e le sue contraddizioni, é stato indubbiamente tante cose, ma è stato anche, non dimentichiamolo mai, anche l’ultimo impero cattolico della storia (e con un imperatore, Carlo I, oggi beatificato). Finché é esistito, tutti a parlarne male e a elencare, ad uno, ad uno, con raro cinismo, tutti i suoi difetti. Ora che non c’è più, tutti a dire quant’era bello. Scherzi della storia. La figura che però, a parere di chi scrive, forse più di altre suggerisce questo lato costitutivamente drammatico dello spirito mitteleuropeo, cristianamente inteso, è una delle attuali co-patrone d’Europa: Santa Teresa Benedetta della Croce.

            La sua vita é stata un lungo viaggio proprio negli anni più bui della Mitteleuropa: nata a Breslavia, Bassa Slesia (allora Germania, ma oggi Wroclaw, Polonia) il 12 ottobre 1891 da una famiglia ebrea osservante con il nome, al secolo, di Edith Stein, porta in sé davvero tutte le contraddizioni, e le lacerazioni, del secolo scorso. Dalla città natìa, al confine sull’Oder, non lontana dai quei Sudeti a lungo contesi tra cechi e tedeschi, ancora giovanissima andò a studiare filosofia a Gottinga perchè lì, in quell’antica e nobile università, dava lezione un certo professor Husserl. Già, proprio lui: Edmund Husserl, il pensatore, oltre che matematico, moravo, fondatore della corrente fenomenologica contemporanea. Quindi si sposterà in trincea, durante l’assurda Grande Guerra, la Prima Guerra Mondiale, per prestare servizio come infermiera in un’ospedale da campo austriaco. Tornata dalla guerra si laurea a Friburgo con una tesi ‘sul problema dell’empatia’, ricevendo summa cum laude, perchè un voto più alto non c’era, relatore Husserl. Quindi va a Francoforte, sul Meno, dove è testimone di una di quelle scene che gli cambieranno la vita: una mattina infatti, spinta dalla curiosità, entra nel grandioso Duomo cittadino. Dentro non c’è nessuno. Poi, all’improvviso, vede entrare una popolana, con le buste della spesa appena fatta al mercato. La signora, in silenzio, si segna, quindi va ad inginocchiarsi tra i primi banchi per una preghiera davanti il Tabernacolo. Ovviamente, essendo di un’altra religione (che peraltro sta per lasciare), in quel momento la Stein non sa neanche che cosa sia il Tabernacolo. Eppure, quella semplice scena, le lascerà un’impronta profonda. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, come dirà lei stessa, non aveva mai visto nulla del genere. Lì si entrava solo per la funzione settimanale. Qui invece, quella signora, era entrata nella chiesa deserta “come se si recasse ad un intimo colloquio…”. Come se ci fosse qualcuno ad aspettarla, come se vi abitasse una Presenza. Di quella signora, ancora oggi, non conosciamo il nome. Probabilmente non lo sapremo mai. Eppure é di lei che la Provvidenza si é servita per aprire una breccia nel cuore di Edith Stein. O meglio, della Professoressa Stein, come cominciava ad essere nota in pubblico per essere una delle pochissime allieve in grado di tenere testa alle ricerche esigenti, e a volte senza fine, del maestro Husserl. Da qui in poi, anche grazie ad altri testimoni di fede, la sua sarà una vita dedita alla ricerca della verità, quella che l’amata filosofia può solo umilmente riconoscere e non creare da sé, perchè le viene da Cristo. Si farà battezzare a 31 anni. Alla mamma, però, lo dirà solo tempo dopo perchè era sicura che non avrebbe compreso. Quando lo saprà, in effetti, non glielo perdonerà. La giovane sperimenterà così sulla propria pelle il fatto che la conversione, quando è reale, non é uno scherzo, ma un’imitazione di Cristo, fino al Golgota. Incompresa dagli amici, incompresa dalla famiglia e dalla stessa madre (il padre era morto quando lei aveva due anni), vivrà una doppia alienazione forzata: per la Germania hitleriana, lei, che pure è tedeschissima, ma ha sangue ebraico nelle vene, non è una vera tedesca, ma una straniera di cui liberarsi al più presto. Ma anche per la famiglia, ebrea, non è più ben accetta: perchè ha scelto Cristo, abbandonando il credo dei padri. Si farà carmelitana, col nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. In quel nome, ancora, un destino. Come tanti spiriti mitteleuropei, anche la sua sarà una vita errante che toccherà Bergzabern, Spira, Colonia, quindi Echt (Olanda) e, infine, Auschwitz. Dove, come aveva chiesto anni prima, offre la sua vita in sacrificio ed espiazione: è il 9 agosto del 1942. Le sue lettere dal lager sono una delle cose più vertiginose della spiritualità cristiana del ‘900: ancora il 06 agosto manda a dire alle consorelle che ringraziava il Signore perchè non le mancava nulla ed era riuscita a pregare benissimo. Tre giorni dopo sarebbe morta nella camera a gas.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *