Nel parco di Villa de Finetti




A passeggiare tra i suoi viottoli ombreggiati e ornati di ciuffi variopinti di piante e di fiori, il parco di Villa de Finetti a Corona, piccola frazione di Mariano del Friuli, ispira vecchie memorie scolastiche di poesie crepuscolari e di atmosfere degne del Pascoli.

Fino al 9 agosto sarà possibile visitare, assieme a questo parco popolato di statue, fontane e palmizi dai tronchi nodosi e serici, la mostra della pittrice triestina Annamaria Ducaton “Dal cuore al silenzio”, già esposta per tutto il mese di giugno presso il Caffè Emopoli della vicina Gradisca. Ad accogliere i dipinti dell’artista l’area un tempo riservata alle scuderie e alle masserizie di Villa de Finetti, che conserva le tracce dell’impostazione originale nelle grandi travi a vista e nei solidi muri di pietra ruvida.

Della mostra abbiamo ampiamente parlato sulla versione cartacea di Vita Nuova del 12 giugno scorso. Ci preme tuttavia sottolineare che la nuova “galleria” si presenta subito come la cornice ideale per mettere in risalto tutta la magia arcana, la luce dorata e il colore profondo e vibrante dei dipinti. Come nelle antiche scatole cinesi splendidamente decorate e chiuse le une nelle altre, il giardino di Villa de Finetti racchiude al suo interno i giardini in miniatura della pittrice, ideali paesaggi dell’anima e del cuore che dispiegano tutta la loro ricchezza. La stessa atmosfera quieta e senza tempo che si respira nel luogo, vibra anche nelle tele della Ducaton che sembrano concepite proprio per portare alla luce sull’onda dei simboli gli anfratti e le profondità del primordiale mondo della vita e dell’uomo.

Anche se le opere dedicate a Kafka – “Ironikamente”, ciclo di cui sono stati scelti tre dipinti – sono attraversate dalle sottili e impalpabili inquietudini proprie al mondo interiore del grande scrittore praghese, il colore e la luce profusi dal raffinato, colto e sapiente tocco della Ducaton evocano comunque un senso di pace e di composta vitalità che ben si accorda con l’atmosfera del luogo. Un’atmosfera antica eppure sempre nuova, simile a uno di quegli antichi antri naturali che gli antichi immaginavano popolati di ninfe, amadriadi e fate volteggianti tra il fogliame e le brezze. Noi moderni abbiamo bisogno di luoghi come questi e di un’arte come quella della pittrice triestina dove ritrovare un po’ di silenzio e di pace, elementi necessari al distendersi stesso del pensiero e al suo dischiudersi. In questo senso c’è una perfetta sintonia tra la cornice naturale della Villa e del suo parco e la cornice di quadri in essa racchiusa della mostra della Ducaton. In entrambi i casi entriamo in un mondo sospeso e incantato, fascinoso e rinfrancante, che ci distende e ci regala sensazioni riposanti, ma anche ci induce con delicati richiami a riflettere, a pensare e a penetrare il linguaggio muto delle cose.

La bellezza dei luoghi e dell’arte che ritroviamo in questo angolo appartato della nostra regione appagano la mai sopita nostalgia umana di silenzio, contemplazione, quiete pensosa. Come cantava Rilke nelle sue “Elegie duinesi”, questa nostalgia si è trasformata nell’uomo moderno in un doloroso anelito sopraffatto dal rumore e dalla bruttezza di certi paesaggi “industriali” grigi e fumosi, tutto cemento e nere nuvole di fumo. Al posto della villa antica, dell’opera d’arte, del castello, della cattedrale, dei parchi e dei giardini, sempre più si sono estese le grandi industrie e le affollatissime metropoli dalle linee fredde e squadrate, puramente funzionali e prive di qualsiasi valenza estetica. Si bada solo a ciò che serve e a ciò che produce e rende bene, trascurando la gratuità delle cose belle che non servono per fini materiali ma hanno in sé una potenza ben più grande che è quella di guidare l’ascesa dell’anima verso la sapienza e la luce. Passeggiando in parchi come quello di Villa de Finetti, con il compendio ideale e prezioso di una galleria in cui l’arte mantiene intatto il suo splendore di voce dell’anima rivelatrice di verità e scopritrice di mondi e misteri sommersi, ritroviamo una vocazione che oggi ha la vita molto difficile: il bisogno di leggere dietro la superficie delle cose la presenza divina trascritta in linguaggio umano, sia esso poetico, architettonico, floreale o pittorico. Sono queste le fonti da cui l’uomo ha sempre attinto piene sorsate di vitalità e di passione, imparando ad ascoltare quel genius loci che gli antichi presentivano al primo tocco e che sussurrava loro attraverso la natura e le parole dei poeti che ne cantavano la malia. Tutto era animato, vivo, parlante e risuonante in mille echi iridescenti. Porsi in ascolto di questa armonia di fondo che lega tutte le cose e le rende significanti è oggi un grande bisogno per noi, una necessità vitale, come il cibo e l’aria. Abbiamo tradito le nostre radici anche in questo senso, inquinando l’arte e i luoghi con la frenesia, il caos e la materialità. Ma i “numi” e le “muse” sono pazienti e attendono lungo sentieri nascosti che ritorniamo ad interrogarli e ad ascoltarli.

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