L'arcivescovo di Ferrara e Comacchio racconta a Panorama il suo punto di vista sulla guerra contro l'islamismo e molto altro.

Monsignor Luigi Negri: contro l’Isis facciamo come Putin




Intervistare monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara e Comacchio e abate di Pomposa, «implacabile propugnatore dell’ortodossia», è un esercizio spericolato per cervello, mano e orecchie. Impossibile trascrivere il suo pensiero se non si dispone di un registratore: né il polso né il bloc-notes riescono a contenere l’alluvione di concetti che il presule esprime con limpida concatenazione.

E qualsiasi schema dialogico viene scompaginato soprattutto se, come accade nel colloquio con Panorama, salgono dalla strada i cori incessanti dei giovani radunati per le feste di laurea in Volto del Cavallo, tra la piazza della cattedrale e quella del municipio: «Dottooore, dottooore, dottooore del b…», con quel che segue. «È sempre così, giorno e notte. Una volta, l’estate scorsa, fino alle 5.20 del mattino. Ci ho fatto il callo». Ma non è vero che Sua Eccellenza abbia chiesto al Comune di spendere 30 mila euro per recintare l’area con le catene: «Ho solo posto un problema educativo: non potete lasciare che un’intera generazione passi la vita a bere e a drogarsi, perché la perderete anche fisicamente».

Nei 100 metri scarsi che da qui portano al Castello Estense, succede qualcosa di ben più strano da alcune settimane. Capannelli di passanti si fermano a commentare l’enorme stendardo che monsignor Negri ha fatto esporre sull’ingresso del palazzo arcivescovile. Vi sono tracciate sopra una «nun» verde, la venticinquesima lettera dell’alfabeto arabo, corrispondente alla «n» dell’alfabeto latino, e la scritta «“N” come Nazareno il marchio della vergogna sulle case dei cristiani. Vergogna per chi lo ha posto». Il riferimento è all’infame cernila compiuta a Mosul, in Iraq, dai tagliagole dello Stato islamico. «Per molti cristiani segno di martirio, cioè di vittoria», si legge sotto lo stemma del prelato, che ha per molto «Tu fortitudo mea». Ecco, la cifra dell’arcivescovo Negri, 74 anni il 26 novembre, milanese di Porta Romana, una vita spesa tra Comunione e liberazione e l’insegnamento all’università Cattolica, i 35 volumi della Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino allineati nella libreria, I promessi sposi e l’iPad sulla scrivania, è tutta qui: un combattente nato. «Se non avessi scelto il sacerdozio, mi sarebbe piaciuto diventare generale dei carabinieri», confessa.

Un prete a quattro stelle.

Lo sono dal 1972. Anche per reazione al Sessantotto. Mi ha aiutato l’attacco alla fede venuto dal professore di storia e filosofia che ho avuto al liceo Berchet, Luigi Marzano, un agguerrito marxista-leninista. E più ancora l’incontro con il mio primo insegnante di religione nel 1957, sempre al Berchet, don Luigi Giussani, il fondatore di Cl, cui sono rimasto legato fino all’ultimo.

Perché quel gonfalone anti Isis?

Lo devo a monsignor Pierre Laurent Cabantous, arciprete di Cervia, uno dei sacerdoti più cattolici che conosca. M’è parso un grande strumento d’informazione, quasi una catechesi, per una società in cui l’ignoranza è diventata una virtù civile.

E come mai allora i suoi confratelli vescovi prestano gli spazi ecclesiali ai musulmani affinché possano pregarci?

Non lo so. Ci sono precise disposizioni al riguardo e io le osservo. Noto però una certa tendenza a trasformare silenzio e inerzia in valori ecclesiali, come se il non dire favorisse il dialogo. Al contrario: il non dire ci fa scomparire dal dialogo sociale, perché chi non parla non c’è.

Lei ha parlato chiaro: «E il momento di riprendere l’idea di san Tommaso d’Aquino per cui è tollerabile che esista una forte azione di legittima difesa». Per scendere nel pratico: che si fa con lo Stato islamico?

Bisognerebbe tentare di disarticolarne il vertice, folle e barbaro. Ci vorrebbe il ricorso a quell’«ingerenza umanitaria» predicala da Papa Wojtyla alla faccia di tutti i novatori teologici, un’azione vigorosa e mirata, come quella che impedì alla guerra nei Balcani di trasformarsi in tragedia totale. Ma per promuoverla servono testa e palle.

Merce rara oggidì.

Non sono un politico e neanche un politologo. Ma lo spettacolo offerto dagli statisti nazionali e internazionali è desolante. Da chi dovrei aspettarmi una valutazione critica della sfida che il Medio Oriente pone al mondo civile? Da Barack Obama? Da David Cameran? Da Matteo Renzi? Da François Hollande, che all’alba va a portare i croissant all’amante mascherandosi con un casco? Qual è la loro progettualità? Non l’ho capito. Nel panorama di silenzio connivente e di iniziative inconcludenti, l’unico che ha gli attributi, devo ammetterlo con profonda vergogna, è Vladimir Putin.

Se fosse capo di un governo europeo, come regolerebbe l’ondata migratoria che preme alle nostre frontiere?

Lo scafismo è una forma terribile di schiavitù. Non posso credere che non esista un modo per sconfiggerlo in maniera radicale. Assistere queste moltitudini nei luoghi d’origine è impensabile, giacché si tratta di disperati che fuggono da una gestione disumana del potere.

E allora?

Piaccia o no agli ignoranti, laici e anche credenti, per sei secoli le crociale hanno avuto perlomeno il merito di fermare il traffico di essere umani. Poi a ricominciare questo commercio immondo sono stati i borghesi illuministi, con l’aiuto dei Paesi arabi che schiavizzavano i neri d’Africa da portare in America. Grazie a un’inter-locuzione forte, avevamo guadagnato il rispetto dogli islamici. Adesso siamo qui in ginocchio. Che cosa vuole che facciano di noi? Ci schiacceranno sotto ì piedi.

Cesare Mazzolali, eroico vescovo di Ruinbek, in Sudan, mi disse piangendo nel 2004: «Si sta avvicinando il momento del martirio. Molti cristiani saranno uccisi per la loro fede».

Siamo a una prova gravissima. Ricordo un’espressione di Giovanni Paolo li, che allora non capii: «Ho sempre creduto che la lotta escatologica, quella finale fra Cristo e Satana, sarebbe stata fra la Chiesa e il mondo. Mi sto invece accorgendo che si svolge dentro la Chiesa».

Per questo ha sentito il bisogno di scrivere subito una lettera ai suoi fedeli, chiarendo che dopo il sinodo non cambia nulla?

A differenza di qualche prete e di qualche diocesi, che hanno annunciato la distribuzione dell’eucaristia ai divorziati-risposali, ho tenuto a specificare che il sinodo è un organo esclusiva niente consultivo. Solo il Papa può decidere se alcune delle posizioni emerse debbano essere seguite da indicazioni normative. Anche se in Germania e in Belgio danno la comunione ai divorziati già da anni, a Ferrara resta tutto come prima. Non compete certo al confessore stabilire se un divorziato possa o no accostarsi all’eucaristia.

«I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente», raccomanda Papa Francesco.

In più di 60 anni di vita cattolica cosciente, ho sempre percepito una profonda continuità fra verità e carità. La verità non giudica le persone, ma il mondo. Se la Chiesa non giudica il mondo, non esiste. E che il mondo contenga strutture di peccato non l’ho inventato io, lo ha sancito il Concilio Vaticano II.

Il New Yorker ha scritto: «Se si tenesse oggi un conclave, Francesco sarebbe fortunato a trovare dieci voti».

Diffido dei laicisti che si ergono a difensori della dottrina.

Il Papa ha scelto due preti di strada come pastori delle diocesi di Palermo e Bologna. Sulla cattedra di san Petronio, al posto del conservatore Carlo Caffarra arriva il vescovo Matteo Zuppi, che passa per progressista. Bologna dista da Ferrara 53 chilometri. Le fischiano le orecchie?

A me no. Spero che non fischino a monsignor Zuppi. Circa i preti di strada, vorrei dire una cosa che mi addolora molto: io non riconosco a nessuno, laico o ecclesiastico che sia, e men che meno ai quei pennivendoli che passano per vaticanisti, il diritto di stabilire gerarchie e contrapposizioni nel clero e nell’episcopato. È offensivo e vergognoso affermare che alcuni preti sono «di strada» mentre altri vivono comodamente nelle parrocchie o che alcuni vescovi hanno «l’odore delle pecore» mentre altri stanno rinchiusi nei loro palazzi. Quand’ero pastore a San Marino, ho visto decine di sacerdoti spendersi con zelo in comunità sperdute. Carpegna o Novafeltria non sono meno periferia del mondo di Buenos Aires, di Berlino o di Milano. Anzi, le considero trincee.

Il sinodo ha riconosciuto che nelle persone unite civilmente, anche dello stesso sesso, possano esservi «quei segni di amore che propriamente corrispondono al riflesso dell’amore di Dio».

Non capisco il motivo per cui un consesso chiamato a discutere della famiglia avrebbe dovuto occuparsi dei gay. Lei si riferisce al paragrafo 71 della relazione finale, ma lì non si nominano le coppie omosessuali. Si dice che nel percorso di accompagnamento dei conviventi o delle coppie civili si possono valorizzare alcuni specifici segni d’amore, quelli che ha appena citato.

Che cos’ha provato leggendo sul Corriere della sera il coming out di monsignor Krzysztof Charamsa, officiale della Congregazione per la dottrina della fede?

Profonda pena per lui. M’è sembrata una perdita della dignità umana, prim’ancora che sacerdotale. E mi sono chiesto se non vi fosse dietro qualcuno che Io ha ispirato a comportarsi così.

Papa Francesco dice: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha Buona volontà, chi sono io per giudicarla?».

Totalmente d’accordo. Però ho potuto assistere alla lunga, quotidiana amicizia fra don Giussani e Giovanni Testori, che era un omosessuale non solo dichiarato ma anche praticante. Il mio maestro non attenuò la gravità morale della condizione in cui viveva lo scrittore, ma lo accolse nella chiarezza della dottrina e gli dischiuse la possibilità di un cammino esemplare.

Qual è la sua posizione circa la legge sulle unioni civili che il governo intende varare in fretta?

Quella dell’ex sottosegretario Alfredo Mantovano, che è stato giudice di tribunale e magistrato di Cassazione, il quale assicura che tutte le istanze contenute nel disegno di legge Cirinnà sono già pienamente recepite dalle leggi vigenti, salvo alcune da introdurre ex novo, e fra queste non includerei il diritto all’adozione da parte degli omosessuali. Dunque perché si esaspera questa tematica? Basta sistemare pochi aspetti tecnici.

Don Vitaliano Della Sala, il prete campano che «predicò» al Gay pride durante il Giubileo del 2000, ha reso noto: «Ho cominciato a benedire coppie di gay odi divorziati».

Il beato cardinale John Henry Newman da presbitero anglicano si convertì al cattolicesimo, dopo aver studiato l’eresia ariana, perché sosteneva che la Chiesa è un ordo, un ordine: intellettuale, morale, esistenziale, sociale. Lo ricordai a Benedetto XVI quando visitò la diocesi di San Marino, che non aveva mai visto un papa. «È vero», annuì. E io aggiunsi: ma oggi la Chiesa non è un ordo, è un casino. Testuale. Serve una riforma vera, che faccia nascere un’unità plurima. Però nella disciplina. Un cardinale tedesco è arrivato a dichiarare che i suoi confratelli africani non sono in grado di capire le sottigliezze dei teologi teutonici, dando l’impressione che ciò dipenda dal fatto che i primi sono neri. È incredibile.

Intanto è stato riformato In Ior.

Della riforma della banca vaticana non m’importa un accidenti. Io devo spiegare tutti i giorni alla mia gente perché vale ancora la pena di essere cristiani.

Sarà almeno contento che nella relazione finale del sinodo si stigmatizzi «quell’ideologia del “gender” che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna».

Ho lanciato da tempo un grido d’allarme per il silenzio omertoso di tutte le realtà civili. Non è che venga messa nell’angolo la famiglia. È che questo governo, guidato da un premier che sbandiera la propria militanza cattolica negli scout, appoggia un’ideologia che disgrega dalle fondamenta la struttura stessa della civiltà occidentale. Lo Stato ha già agito più volte in spregio dette leggi vigenti per costringere insegnanti e scolari a seguire corsi sul gender. Sono dovuto intervenire due volte, qui a Ferrara, per segnalare questa situazione. La società ormai è contraria alla Chiesa, c’è poco da fare.

Ma chi sarebbe il regista occulto di questo attacco alla civiltà?

Sono almeno tre: la massoneria mondiale, l’economia anglo-cinese-nipponica e il fondamentalismo islamico.

La massoneria c’entra sempre…

Le pare normale che in questa città, appena 130 mila abitanti, vi siano ben quattro logge massoniche, di cui una femminile?

Il caso Charamsa, lo scandalo sessuale fra i carmelitani, la lettera dei cardinali conservatori al Papa trapelata dal sinodo, la falsa notizia del tumore al cervello, l’arresto in Vaticano di due collaboratori infedeli che avrebbero fornito il materiale per dei libri esplosivi di imminente uscita. A Francesco tocca una grana al giorno. La Chiesa è una spina nel fianco, un’anomalia, una contraddizione agli stili di vita correnti. Si legga II padrone del mondo scritto da Robert Hugh Benson nel 1907, nel quale era prefigurata la società del terzo millennio. Lì dentro c’è tutto: la confederazione mondiale retta dall’Anticristo, il consenso entusiasta dei sudditi, l’edonismo sfrenato, il pacifismo, il relativismo, l’eutanasia, persino i cibi artificiali che in questi giorni hanno ottenuto il via libera dalla Ue. Fino al bombardamento del Vaticano per annientare l’ultimo bastione in grado di fermare il nuovo padrone.

Scenario apocalittico.

Diciamocelo in faccia: questa centrale anticattolica planetaria teme la Chiesa più dell’lsis, così come ieri aveva più paura del pontefice che di Hitler, Mussolini e Stalin. Nel totalitarismo gli affari si fanno meglio che in democrazia.

Ha avuto modo di confrontarsi con il Papa in proposito?

Ho potuto parlarci insieme per pochi secondi due volte, a margine di assemblee generali della Cei.

Pochi secondi?

Senz’altro meno di un minuto.

Eppure Bergoglio ha trovato il tempo per telefonare a Marco Pannella e a Emma Bonino, che praticava aborti con una pompa per bicicletta, e di ricevere in udienza un trans spagnolo accompagnato dalla fidanzata.

Chi sono io per giudicare il Papa?

Che cosa sta spegnendo la fede?

Il consumismo, la vera malattia dell’uomo moderno, come spiegò Hannah Arendt. Abbiamo smarrito il senso della vita, perciò ce la godiamo. «Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza». Quanti darmi ha combinato chi ci ha fatto studiare Lorenzo de’ Medici! Il sesso è stato ridotto a fattore economico e meccanico. Trionfa la tecno-scienza. Le camicie rosse e nere, al confronto, erano apprendisti stregoni.

Ferrara è «sazia e disperata» come la Bologna che descrisse l’arcivescovo Giacomo Biffi?

È solo disperata, perché ha finito i soldi. Ma sotto l’urto della povertà è rinato il dialogo con tante famiglie.

Possibile? Matteo Renzi dice che l’Italia sta tornando ricca.

Gli riconosco un merito: ha abolito il politichese. Parla come il popolo. Ma non ho la competenza necessaria per dire se sia vero tulio ciò che racconta. Da vescovo constato che il suo governo ci porta dritto verso l’utero in affitto.

Come farà il premier ad andare a messa e nel contempo ad accordarsi con Ivan Scalfarotto, primo sottosegretario espressione della comunità Lgbt?

È il potere da spartirsi che li unifica.

Certo che ne ha per tutti, eccellenza. Ha scomunicato anche Gianroberto Casaleggio del Movimento 5 stelle.

Mi sono limitato a leggere i suoi libri, là dove afferma che l’uomo è Dio e che la Rete è tutto. E io non dovrei commentare che questo c’entra con il cattolicesimo? Ma mi faccio ammazzare, piuttosto! Ciò non significa che io condanni Casaleggio o che non voglia parlarci insieme. Infatti mi ha telefonalo.

Il 10 ottobre ha ordinato due soli preti novelli. Pensa con angoscia a quando le capiterà di non consacrarne più neppure uno?

No, perché l’anno prossimo ne ordinerò il triplo, sei.

Com’è possibile in una città disperata?

È possibile perché ogni mattina, appena sveglio, prego così: Signore, non farmi combinare troppe cavolate. In quel momento mi compare nella testa don Giussani, che mi ha insegnato la baldanza della fede. E che mi fa dire ai miei preti: vi attende una vita sacrificata e lieta.

di Stefano Lorenzetto

da Panorama 5 novembre 2015

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