La cura del corpo è sempre stata parte della disciplina di vita dell’uomo, per lo meno da quando hanno iniziato a svilupparsi le prime civiltà. Oggi essa viene a volte confusa, sullo sfondo di una cultura vuota del corpo e di un giovanilismo ad oltranza, con un’attenzione maniacale e ossessiva per la bella forma fisica – “bella” secondo i parametri moderni – e quindi spesso screditata come vanità e superficialità. Invece, come ci attestano le grandi culture del passato, prendersi cura del proprio corpo, secondo misure ed equilibri di armonia pisco-fisica, fa parte dell’educazione della persona.
Domenica 24 novembre, presso il Centro commerciale Torri d’Europa, si è tenuta una divertente kermesse sportiva promossa dalla catena di palestre “California” che vanta in città ben cinque siti — Via Bellosguardo 21, Viale Raffaello Sanzio 27, Strada per Lazzaretto 2 – Porto San Rocco (Muggia), Via dei Giaciniti 2 e Viale Gabriele D’Annunzio 53 — dove l’offerta sportiva è molto ampia e variegata. Grandi e piccini si sono misurati in un clima di festa con le proprie capacità fisiche e soprattutto con la propria buona volontà di impegnarsi per un obiettivo ben preciso e “salutare”.
Quando adopero il termine “salutare” intendo fare riferimento alle molteplici sfaccettature dell’attività sportiva: fisiche, psicologiche e anche esistenziali. Vedere bambini molto piccoli, ragazzi e anche persone adulte affrontare con entusiasmo e passione una sfida con se stessi che richiede buona volontà e fatica, ci appare nei nostri tempi di pigrizia, inerzia e disfattismo un buon segno di progettualità, di coinvolgimento e di attenzione ai propri stili di vita. Mi capita spesso di incontrare gruppi di giovani che vagano qua e là senza meta, impegnati a far niente tutto il giorno, sprecando energie, talento e risorse. Lo studio a molti di loro non dice più nulla, neanche lo sport, che fino a qualche anno fa riusciva ancora ad attrarli specie per la sua dimensione ludica. Sempre più si abituano a non avere un indirizzo, un orizzonte, un progetto. Io credo che questo versante vitale ed esistenziale dello sport andrebbe valorizzato di più, proponendo l’attività fisica sia come svago e divertimento, ma anche come “impresa” finalizzata alla disciplina, ad un’armoniosa conduzione della propria vita e alla “buona” e “bella” forma di corpo e mente.
Purtroppo oggi, più che in passato, si tende a scindere la mente dal corpo, la sfera fisica dalla sfera intellettuale: lo sportivo, in certo superficiale immaginario collettivo, è l’individuo tutto muscoli che pensa poco e l’intellettuale è l’individuo imbolsito e precocemente decaduto che usa soltanto il muscolo del cervello. Niente di più errato. La cura del corpo e l’esercizio fisico fanno parte dell’igiene primaria di una persona, della sua educazione al buon vivere secondo principi chiari e definiti. Sottoponendo il corpo ad un regolare esercizio muscolare e ad una buona dose di fatica quotidiana – magari supportati da una corretta alimentazione e quindi da un’educazione alla misura e al controllo di sé e delle proprie abitudini disordinate —, il corpo e la mente si educano anche ad una volontà ferma e perseverante, alla pazienza, alla concentrazione e al rispetto di sé, degli altri e di tutto ciò che ci circonda. Perché stare bene è anche un vantaggio che si riverbera su chi ci sta accanto. Se io infatti conduco una vita sregolata e mi ammalo, quale aiuto potrò mai offrire agli altri? Anche questo aspetto relazionale è coinvolto nella scelta di esercitare seriamente un’attività sportiva.
Nel mondo greco antico il “bello” e il “buono” erano le due facce di una stessa medaglia: l’armonia del corpo era specchio dell’armonia interiore e la palestra in cui si scolpiva l’involucro tangibile dell’anima era metafora della più vasta palestra della vita in cui erano richieste su più vasta scala le medesime qualità di sacrificio, impegno e perseveranza. Seneca, grande filosofo stoico – e vi assicuro che la notizia ci è fornita da lui in persona – saltava ogni giorno la corda e praticava la corsa; i primi eremiti cristiani che vivevano isolati nel deserto concludevano la loro operosa giornata con 100 flessioni. Pensatori, filosofi e intellettuali – fino al trionfo della borghesia pigra e opulenta dell’800 – anche se non si ammazzavano di fatica, comunque avevano delle regole di igiene fisica, in particolare l’abitudine di una buona passeggiata. Grandi camminatori furono Kant, Rousseau, Nietzsche – il grande distruttore del pensiero occidentale, il nichilista che pur scrisse queste sagge parole «Non fidarsi dei pensieri che non sono nati all’aria aperta» -, Heidegger, solo per citarne alcuni.
Mi associo a questo coro autorevole e spezzo più di una lancia a favore di una buona pratica di vita, capace di unire il benessere del corpo che si muove con il benessere della mente che pensa, studia, ricerca. Se il corpo è stanco e pesante, lo sarà anche il pensiero. Viceversa, se il corpo è libero e leggero, anche il pensiero lo sarà. Si tratta di un’unica grande circolazione, di una meravigliosa corrispondenza attraverso la quale l’uomo è chiamato a vivere in pienezza e bontà l’intero spettro delle sue capacità creative e vitali.
Lascia un commento