Meno studio, più lavoro?




Hanno suscitato un certo sconcerto i dati sul crollo degli iscritti all’università resi noti questa settimana. Un trend nazionale in cui Trieste non fa eccezione: raggiunto un picco di studenti nell’anno accademico 2007-2008 si è poi invertita rotta, con un vistoso calo del 9,7% nel 2010. E la situazione attuale sembrerebbe ancor più negativa, con un calo del 14% sullo scorso anno, anche se, come specificato dal Rettore al quotidiano locale, è provvisoria dal momento che si attendono le iscrizioni di marzo.

 Università significa innanzitutto cultura e formazione, per cui non si può che considerare una regressione il minor numero di giovani che vi accede. D’altra parte il mercato parla chiaro: nel 2012, in provincia di Trieste, se si guarda la tipologia di forza lavoro richiesta dalle imprese in base al titolo di studio non si ha alcun dubbio. Solo per il 16% è stata ricercata una risorsa con titolo universitario, mentre per ben il 41% con un diploma di scuola superiore, per il 31% con nessun titolo cioè con la sola scuola dell’obbligo e infine per il 12% con una qualifica di formazione professionale (dati Osservatorio provinciale sul Mercato del Lavoro).

 Non solo, prendendo in considerazione l’indice di raccordo domanda-offerta di lavoro, un termometro sulla possibilità di trovare un impiego, emerge che solo nel caso di lavoratori con qualifica professionale non ci sono tante persone disponibili quante le imprese prevedono di assumere. In altre parole, le imprese sono disposte ad assumere lavoratori con qualifica professionale ma non li trovano. Condizione che evidentemente non si verifica negli altri casi.

 Ecco dunque che il calo di iscrizioni all’università è certamente sintomo della minor capacità di spesa delle famiglie, ma può esser considerato anche come una presa d’atto delle reali richieste del mercato. E prendere atto di quel che il mercato chiede è un passo preliminare per iniziare a risolvere la crisi occupazionale.

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