Ne avevamo già parlato alcune settimane addietro. La chiusura del sentiero Rilke era ancora un’ipotesi. In questi giorni è diventata una certezza. La passeggiata dedicata al grande poeta austriaco di origine boema, cantore eccelso delle “Elegie duinesi”, ora è definitivamente chiusa. Sconcerto e indignazione tra i frequentatori abituali, qualche proposta istituzionale e soprattutto un bel punto di domanda sul futuro di questa storica attrazione paesaggistica e culturale.
Sappiamo bene che in questi tempi difficili — ma quando mai i tempi dell’uomo non lo sono stati? —, di cui ogni giorno i media ci riportano notizie allarmanti e non di rado tragiche, tutto ciò che riguarda la cultura sembra marginale. Di fronte al dramma della disoccupazione, di fronte ai guasti delle concrete e quotidiane condizioni di vita di tante famiglie sul lastrico, la chiusura di un sentiero dovrebbe contare ben poco.
Eppure la cultura e tutti i suoi segni esteriori — tra i quali entrano a pieno titolo anche i “luoghi” —, è da sempre la variegata efflorescenza che sboccia dalle radici profonde della vita. Essa è un “luogo” in cui noi uomini, attraverso la riflessione e la creatività, individuiamo le domande fondamentali sul nostro essere ed esistere.
Non possiamo certo dire che la cultura sia in grado provvederci di tutte le risposte: essa trae dal buio gli interrogativi che più ci inquietano, scopre i punti nevralgici dell’esistenza e poi ne tenta una risposta e una soluzione. Anche se non potrà mai dare risposte assolute, per lo meno aiuta l’uomo ad essere consapevole di sé e di quanto gli accade intorno. Solo quando la cultura dialoga con la fede, solo allora è in grado di elaborare anche delle risposte risolutive, soprattutto risposte di senso . Da sola non potrà mai svelare all’uomo la misura ultima del suo essere, ma intanto spiana la via e tiene acceso nel cuore il desiderio di conoscere e di trovare un fondamento stabile dietro il fluttuante mondo delle apparenze.
Logicamente può adempiere a questo nobile scopo solo se aderisce con onestà alla reale condizione umana, evitando ogni forma di immanenza e di ottuso materialismo come ogni espressione di idealismo astratto. Ogni nostra conoscenza è vana se non diviene vita, se non passa attraverso il crogiolo della nostra coscienza dove viene purificata e decantata nella sua quintessenza. La cultura, quella autentica che si dovrebbe acquisire anche con lo studio già a partire dalle prime esperienze scolastiche, andrebbe liberata dall’eccesso di nozionismo e alimentata con la vita, con le sue domande, le sue inquietudini e le sue esigenze di senso. In questa cornice anche un semplice sentiero, sia pure notevole come attrazione turistica e bellezza del paesaggio, ci riesce prezioso per tutte le ispirazioni, intuizioni e creazioni immortali che risveglia nell’anima. Anche i luoghi fanno parte della cultura. Le stesse forme culturali, tanto diverse tra loro, sono già in se stesse simili a “luoghi” dove ciascuno di noi può liberamente entrare ed uscire qualora avverta la necessità di raccogliersi, di ritrovarsi o anche di smarrirsi per poi ritrovarsi più consapevole e migliore.
Perdere i “luoghi” — sia quelli reali che metaforici — significa anche perdere una piccola parte di noi stessi e assistere impotenti allo spegnimento di una delle tante stelle da cui, come naviganti intrepidi, ci lasciamo a volte suggerire la direzione e la meta della nostra avventura nei mari noti e ignoti della vita.
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