L’ultima cartolina ratzingeriana




Di lui ormai si conosce tutto, o quasi, ma ogni tanto continua ad uscire qualche cosa che ci obbliga a ri-aggiornare e completare il quadro. Il ‘lui’ in questione, è Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, e l’aggiornamento questa volta riguarda l’ultima pubblicazione della LEV di questi giorni, Le omelie di Pentling, una raccolta di testi inediti appena tradotti dal tedesco (in Germania erano usciti per i tipi di Schnell & Steiner, cfr. J. Ratzinger, Pentlinger Predigten, Schnell & Steiner, Regensburg), relativi alle prediche di Pentling, il piccolo paesino bavarese – nello stesso circondario di Regensburg – dove il cardinale Ratzinger, fino a prima di diventare Papa, era solito trascorrere le sue vacanze estive. Nello specifico, si tratta di dieci prediche estratte dagli anni Ottanta e Novanta che trattano quelli che poi saranno i temi fondamentali anche del suo magistero papale: il rapporto tra Dio e il mondo, la missione e l’identità della Chiesa, la crisi dell’Europa moderna e il secolarismo. La novità, però, sta nel fatto che oltre ad essere per l’appunto inediti, i testi sono stati rivisti dal Papa emerito che per l’occasione li ha anche impreziositi con una breve introduzione: insomma, non è solo una pagina della sua storia autobiografica e del suo rapporto con la Germania natìa ma anche un ulteriore contributo alla riflessione impegnata sulle questioni più attuali del cattolicesimo continentale – e mitteleuropeo – in particolare declinate sempre al suo tipico modo, coniugando cioè una questione generale del dibattito pubblico, o politico, con il mistero salvifico della fede cristiana, così ad esempio sull’avanzata progressiva del male nelle nostre società: “La violenza è diventata talmente forte che essa è giunta al vertice delle nostre preoccupazioni e paure; talmente forte che la lotta contro di essa ci appare come la priorità assoluta”, ma “per quante saranno le carceri che lo Stato potrà costruire e per quante saranno le forze dell’ordine che esso potrà stipendiare, non basteranno, perché il bene è stato confinato nella discrezionalità…”. O, con considerazioni simili, qualche anno più tardi, mentre era in corso la tremenda guerra nell’ex Jugoslavia: “Dove Dio non è più temuto, gli uomini diventano tremendi, terribili l’uno per l’altro […] perché non riescono più a vedere Dio nell’altro; perché non temono più di ferire la sacra presenza di Dio nell’altro”. E ancora sul peccato di orgoglio dell’uomo che si autodetermina sempre più, a prescindere da tutto e tutti: “A noi non compete chiederci come la storia andrà a finire; (…) non dobbiamo cercare di ergerci noi stessi a giudice universale, come a voler guardare le carte di Dio per tentare di comprendere la logica di questo mondo e della nostra stessa vita. Ogni volta che facciamo questo, ogni volta che pretendiamo di risolvere e dare noi un giudizio sull’insieme della storia e della nostra vita, ci smarriamo”.

Rispetto ai testi degli anni successivi non si ritrova ovviamente la medesima densità intellettuale, anche per il pubblico a cui qui egli qui si rivolge, il popolo semplice e dalle maniere umili e antiche della provincia bavarese. L’eloquio allora si fa più pastorale e a tratti quasi colloquiale nel tono, caratterizzato però quasi sempre da quel porsi domande – all’inizio dell’omelia – tipico abito del professore che continuava a restare anche sotto le vesti sacerdotali e che sarebbe poi ritornato anche nelle lectio magistralis del pontificato. Dovessimo fare una sintesi, con una parola sola, del messaggio compendiato nella raccolta sceglieremmo probabilmente ‘conversione’: le prediche qui offerte sono ancora e sempre una chiamata alla conversione del cuore e un invito esplicito – diretto a ognuno – a intraprendere con decisione quella battaglia spirituale che poi, a sentire i maestri dell’ascetica, è il primo passo necessario nel cammino ordinario di santità. Per dirla con un celebre passo evangelico: “Sforzatevi! questa è la sua risposta. Ciò significa in primo luogo che la maniera giusta di vivere, l’autentica umanità che conduce alla salvezza, alla gioia definitiva, esige uno sforzo, e questo oggi ci è divenuto estraneo. Ci sforziamo in tante attività: per il nostro lavoro, per le cose tecniche, per lo sport. Ma troppo spesso dimentichiamo che, perché riesca, merita uno sforzo, ha bisogno di uno sforzo anche lo stesso essere uomini in modo autentico, anche lo stare davanti a Dio e con Dio nel modo giusto”. Buon cammino di conversione, allora, e buon Natale a tutti.

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