L’ultima cartolina dell’Est




L’anno che volge al termine passerà alla storia, e sui manuali che la racconteranno alle generazioni di domani, per molti motivi: anzitutto per l’abdicazione di Benedetto XVI e la conclusione improvvisa del suo pontificato, otto anni di battaglie durissime contro la pretesa ideologica del secolarismo che hanno riportato decisamente la luce della Fede sul palcoscenico nel mondo in un momento storico in cui questa sembrava destinata invece a spegnersi. Quindi, nel cortile di casa nostra, i libri racconteranno – c’è da scommetterci – anche di un altro epilogo inaspettato, quello della vicenda politica di Sivio Berlusconi che si chiude definitivamente dopo un ventennio a suo modo pure simbolico: era iniziata infatti all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, quando le macerie (reali e rappresentative) del Muro di Berlino erano ancora lì fumanti sotto i nostri occhi, ed è finita nell’era post-politica e ‘neo-tecnocratica’ della moneta unica, della fine degli Stati nazionali e delle utopie di nuovi, inquietanti, progetti mondialisti. Negli ultimi dodici mesi, poi, l’abbiamo ricordato, sono venuti a mancare anche diversi testimoni della storia viva dell’Europa ‘contesa’ del ‘900: meno famosi e noti degli altri, a prima vista, ma non per questo meno importanti per comprendere il nostro presente alla luce del più recente passato. Diversi di loro sono stati intervistati, oltre che personalmente conosciuti, dal corrispondente di Avvenire Luigi Geninazzi che ha pubblicato per Lindau, con un interessante inserto fotografico di prima mano, un bel libro-testimonianza (a proposito di testimoni) su quello che è avvenuto nel travagliato decennio 1980-1990 a Est di Berlino (cfr. L. Geninazzi, L’Atlantide rossa. La fine del comunismo in Europa, Lindau, Torino 2013, Pp. 283, Euro 19,00).

            Geninazzi infatti era uno che era lì, sul posto, unico italiano a Danzica quando nei celebri cantieri navali nell’agosto del 1980 di fatto nacque Solidarność ed era ancora lì quando l’anno dopo il colonnello Jaruzelski impose la legge marziale a tutto il Paese con l’obiettivo di schiacciare ogni tipo di resistenza al regime. Infine, era ancora a Berlino la notte in cui il muro cadde per sempre e intere famiglie poterono ritrovarsi ed abbracciarsi: il 9 novembre 1989. Il cronista racconta tutto questo con deciso e brillante piglio giornalistico trattando del visto e soprattutto del ‘non visto’ di quei giorni con uno stile piano e un linguaggio intelligentemente divulgativo, lontano dalla retorica come dal politicamente corretto. E soprattutto – parlando anche di quello che accadeva nello stesso periodo nei vari Paesi limitrofi, dalla Cecoslovacchia alla Romania – fa memoria del ruolo attivo svolto dalla Chiesa e dalla comunità cristiana, che solitamente nelle ricostruzioni storiche non entra mai. Non solo naturalmente per il caso polacco, in cui questo ruolo fu visibile e decisivo praticamente fin dall’inizio, ma appunto anche per realtà ‘meno celebrate’ e alla fine la lezione che il lettore ne trae è quantomai significativa: in tutti quei casi si vede infatti in modo molto nitido quanto la Chiesa ha fatto per la battaglia della libertà, che in teoria sarebbe una battaglia civile, come oggi si usa dire. Per non parlare dei diritti umani, correttamente interpretati. Ma è stato sempre così, a ben vedere, perché la Dottrina sociale non è nata ieri ma con la Rivelazione stessa, con il Vangelo. Che poi nel corso delle complicate vicende della storia ci siano stati alti e bassi, questo non inficia, o non dovrebbe inficiare, minimamente la verità di fondo. Siamo occidentali ed europei (con tutto quello che oggi significa in termini di progresso e cultura avanzata) perché siamo stati cristiani, religiosamente e culturalmente. Se non lo fossimo stati la nostra storia sarebbe stata molto diversa. Ben vengano quindi libri-testimonianza come questo che ci ricordano non solamente ‘come eravamo’, ora che quell’epoca è finita, ma rimettono anche un po’ le cose a posto nella confusione informativa e interpretativa che ci avvolge e che – complice il passaggio inesorabile del tempo – rischia di omologare tutti quanti, vittime e carnefici, sullo stesso piano. Da ultimo, ci pare anche uno strumento importante dal punto di vista apologetico perché, come pure si dice, se a una teoria si può sempre e comunque rispondere con un’altra teoria, per quanto assurda, irrealistica o bizzarra, chi potrà mai rispondere al sacrificio di una vita?

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