Lorenzo Pilat, triestino verace




“Io non canto per compiacermi, canto per la gente”

 

Ho conosciuto con molto piacere Lorenzo Pilat alla Festa di “Vita Nuova” a Trieste. Di lui ricordavo tante belle canzoni, spesso rese famose da molti celebri interpreti (Gianni Nazzaro, Gigliola Cinquetti, Orietta Berti e molti altri). Rammento pure le presentatrici dei concorsi canori degli anni ‘70, che annunciavano le fatidiche parole: “Di Pace, Panzeri, Pilat ascoltiamo ora…”. Erano canzoni popolari e melodiche, che canticchio ancora adesso molto volentieri, composte di testi semplici ma profondi.

Lorenzo Pilat, in arte Pilade, è stato un grande e, mi si permetta, umile compositore e soprattutto cantore dell’anima melodica e popolare di Trieste. Ho guardato dei video di tanti anni fa, quando Pilat usciva con la chitarra a tracolla per le strade e le piazze triestine ed incontrava la gente comune ed accostandosi sorridente a loro (in particolar modo agli anziani) ascoltava e cantava compiaciuto, raccogliendo e trascrivendo motivi tradizionali che probabilmente sarebbero andati perduti. Numerosi i suoi pezzi dedicati a Trieste: “El tran de Opicina”, “Da Trieste fino a Zara”, “Lassime star cussì”, “Trieste piena de mar”, “Come te pol dimenticarte de Trieste” e tanti altri brani. Pilat ha iniziato la sua lunga carriera con il celeberrimo Clan di Adriano Celentano, arrivando a cantare con “il molleggiato” “Il ragazzo della Via Gluck” al Festival di Sanremo del 1966. Con lo stesso Celentano ha cantato nel 1968: “Un po’ di vino”, inaugurando felicemente con questa canzone il tema del vino (e del pane) che, oltre che ad essere componenti essenziali sulle tavole italiane, richiamavano alimenti della vita contadina e, soprattutto, simboli eucaristici e quindi cristiani. Un suo testo emblematico e che merita la riflessione di grandi e piccini: “Se manca pane e vino cosa fai?” è stato presentato allo Zecchino d’oro del 1976.

Ed ancora lo struggente e un po’ malinconico “Vino amaro” interpretato da Gianni Nazzaro: «Non è nel tuo stile farmi perdere i giorni, le notti, le sere davanti ad un bicchiere». In un’intervista di qualche anno fa, Pilat riassume così, a mio modo di vedere, il suo fare musica, il cantare per la gente: «Serve allegria! Facciamo in modo che in ogni locale ci sia della bella musica (…) la melodia è una cosa che si ricorda, ad esempio la musica napoletana (cantata in tutto il mondo) è fatta di melodia». Pilat ha ricevuto negli Stati Uniti un prestigioso riconoscimento, il premio Grammy Award, per aver raggiunto più di un milione di esecuzioni radiofoniche di una sua canzone: “Alla fine della strada”, tradotta ed interpretata dal grande cantante gallese Tom Jones (“Love me tonight” in lingua inglese). Al Festival di Sanremo ha cantato ancora nel 1968 con Nino Ferrer il brano: “Re d’Inghilterra” e nel 1975: “Madonna d’amore”, che ha ricevuto lodi dalla critica musicale. Penso che Pilat sia da ricordarsi inoltre, soprattutto negli anni ’70, per altre canzoni memorabili per testi e melodie, come la bellissima e, presumo, un po’ autobiografica: “Credi mama”, nella quale confronta la generazione presente con quella passata.

Cantando si impara con Pilat, in arte Pilade, a non compiacersi troppo; cantando si impara a cantare e a far cantare, grazie al suo talento ed alla sua umiltà, la gente!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *