Lo sterminio dei Romanov. Un secolo fa




Nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1918, nella villa Ipat’ev di Ekaterinburg, ai piedi degli Urali, i bolscevichi sterminarono la famiglia dell’ultimo zar di Russia, Nicola II. La necessità di uccidere lo zar era dettata dal timore che i rivoluzionari avevano di perdere la guerra civile: il rischio che l’esercito bianco prevalesse era sempre dietro l’angolo, anche per il supporto che le potenze occidentali – senza grande entusiasmo, va detto – davano alla causa dei monarchici russi. Ebbene, Nicola II fu barbaramente ammazzato senza alcun preavviso, e con lui l’intera famiglia e i servitori. Una strage della quale fu vietato parlare, tanto che il luogo della sepoltura degli ultimi Romanov fu per decenni segreto.
Poiché non ci siamo ancora inchinati alla neolingua che stravolge il senso delle parole, diremo ciò che l’Unione Sovietica è stata: una prigione crudele, sotto l’insegna di una delirante teoria politica e di un ateismo militante violento e feroce. Ci scusino i compagni Lenin e Stalin, ma cento anni dopo la Russia ha cambiato percorso e molti russi stanno rimpiangendo l’epoca degli zar.
Come è noto a molti, Nicola II, Alessandra e i loro figli sono stati santificati dalla chiesa ortodossa nel 2000, alla presenza di Putin e di El’sin. Sorprenderà sapere che la gente depone ancora fiori sulla tomba della famiglia martire, sepolta nella cattedrale di San Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Sorprenderà, ma non troppo: perché anche sotto la cappa asfissiante del comunismo, molti hanno trasmesso la verità e la fedeltà ai valori cristiani; c’era anche chi, pur disprezzando in pubblico gli zar ormai sterminati, in privato li rimpiangeva. Ed ecco: caduto il muro di Berlino, crollata l’Urss, la Russia putiniana ha riscoperto i sani valori cristiani e, naturalmente, ha potuto salvare dall’ignominia la famiglia di Nicola II. C’è pure chi, con grande libertà, afferma pubblicamente che un ritorno dei Romanov in Russia non sarebbe poi così male. Anzi: sarebbe un modo per cancellare l’onta del comunismo e per fare della Russia il traino di una rinascita cristiana dell’Europa.
Follie? Sogni geopolitici? Sarà, ma l’importanza della Russia sullo scacchiere internazionale è sempre più marcata; opera senza dubbio di Putin, ma per noi la sua capacità – da sola – non è l’unica spiegazione. Noi sappiamo, infatti, che il 13 luglio 1917 (un anno prima dell’esecuzione dei Romanov) la Vergine annunciò ai tre pastorelli di Fatima tre “misteri”, chiedendo la consacrazione della Russia al Suo Cuore immacolato. «Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace». Che ciò sia avvenuto davvero, è oggetto di dibattito. Ciò che è innegabile è che il crollo del comunismo e la rinascita della fede in Russia sono argomenti tangibili e concreti; ad un osservatore cattolico, viene anche un pizzico di invidia, perché l’ortodossia sembra conoscere una nuova primavera (mentre a casa nostra, la cattolicità pare ridotta ad un’associazione del buonumore e del volontariato). La centralità della Russia nelle parole di Maria ci deve però far pensare che questa nazione abbia ancora da svolgere un ruolo da protagonista nella storia della cristianità. E forse, che il sangue dell’ultimo monarca della Vecchia Europa possa portare un seme di speranza e di rinascita.
di Giorgio Enrico Cavallo
Fonte: http://www.campariedemaistre.com

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