L’educazione sessuale nelle scuole? Illiberale




L’educazione sessuale nelle scuole? Illiberale. È il parere dell’avv. Giuseppe Zola, già vice-sindaco di Milano, che vede nella diffusione del ‘gender’ l’ultimo stadio di un processo iniziato nel ’68

Si è chiuso un anno, in Italia, nel quale tra i tanti temi balzati agli onori delle cronache, ha trovato spazio quello dell’educazione sessuale nelle scuole. Se ne è cominciato a discutere diffusamente a febbraio, dopo che l’introduzione nelle aule scolastiche degli opuscoli dell’Unar aveva destato non pochi pareri contrari per l’impronta ideologica gender dei testi. Il Ministero dell’Educazione, investito da un’onda polemica, fu costretto a prendere le distanze e a bloccare l’iniziativa. Ciò nonostante, tentativi simili a quello dell’Unar sono continuati e tutto fa pensare che proseguiranno anche nel nuovo anno civile. Non mancherà però l’opposizione dei genitori, alla quale si unisce il parere avverso di varie personalità. Come quello dell’avv. Giuseppe Zola, già assessore e vicesindaco di Milano negli anni ’80, il quale – come emerge da un suo articolo pubblicato sul sito L’Informatore – non esita a definire “illiberale” affidare alla scuola tale compito educativo.

Avv. Zola, come mai arriva persino a parlare in questi termini?

La sfera sessuale è l’aspetto più intimo di una persona, poiché è strettamente legata alla generazione. Per questo, ritengo che uno Stato non dovrebbe entrarvi – soprattutto in assenza di una normativa in materia – se non nell’ambito delle nozioni anatomiche. Il problema è che oggi si parla appunto di educazione sessuale, e lo si fa senza alcun rispetto per l’intimità di alunni anche molto piccoli. Con l’introduzione del gender si è arrivati a situazioni pazzesche, per esempio la descrizione della masturbazione a bimbi dell’asilo. Si registra un paradosso: tutti hanno inneggiato alla caduta del comunismo, ma mi pare però che in parecchi siano rimasti statalisti. Questa vicenda non fa che confermarlo nel modo più grottesco…

L’introduzione di questo tipo di discipline a scuola viene spesso giustificata come un deterrente verso le discriminazioni su base sessuale…

La verità è che “per non discriminare” – come dicono – sdoganano una cultura che secondo me è violenta. So di bambini che sono usciti scioccati da questo tipo di lezioni. Se c’è una cosa che si apprende con gradualità, questo è tutto ciò che è inerente la sfera sessuale. In una classe di 30 studenti, non si può pensare che tutti abbiano un uguale livello di maturità su una materia così delicata. Le vere discriminate sono le famiglie, di cui andrebbe rispettata la sensibilità su certi temi affidando loro l’educazione sessuale dei figli.

In molti ritengono però che la famiglia non sia adatta, per mancanza di competenze specifiche in materia, a svolgere un compito educativo così delicato…

Respingo quest’obiezione chiedendo: ma un padre e una madre che hanno messo al mondo un figlio, avranno un minimo di esperienza in materia? E visto che anche la Costituzione, nell’art. 118, parla del principio di sussidiarietà, non sarebbe il caso magari che lo Stato aiutasse le famiglie a svolgere questo compito senza sottrarglielo? È comprensibile che i genitori abbiano alcune resistenze a parlare di certi temi, proprio per questo si rende necessario un confronto tra Stato e famiglie per sostenere queste ultime nell’educazione dei figli secondo le proprie convinzioni e secondo l’età e il grado di maturazione dei bambini. Vorrei che si sviluppasse un dibattito su una proposta di questo tipo.

Dibattito che rischierebbe di essere soffocato da spinte ideologiche. Registra anche Lei in Italia una “deriva progressista” sui cosiddetti temi sensibili?

Io parlerei piuttosto di “deriva radicale”. La verità è che in Italia, così come in tutto l’Occidente, a uscire vincitore dalle forti contrapposizioni ideologiche del secolo scorso, non è stato né il comunismo né i democristiani, bensì Marco Pannella… Prima tappa di questo percorso è stato il ’68, poi nel nostro Paese abbiamo avuto il ‘74 con la legalizzazione del divorzio, il ’78 con l’aborto e ora questa miriade di istanze sull’onda del gender che sta invadendo la nostra cultura. Alla base del “radicalismo” c’è l’idea per cui ogni desiderio deve diventare un diritto. L’idolo è la libertà assoluta, che è fatto passare erroneamente per progressismo.

Si parla di progressismo anche a proposito della decisione di alcuni sindaci, tra cui quello di Milano Giuliano Pisapia, di trascrivere i matrimoni omosessuali contratti all’estero…

E i prefetti non hanno fatto nulla! Al di là di qualche timido intervento sottovoce, non vi è stato nessun esposto alla procura della Repubblica, verso la quale – al contrario – si ricorre ormai in modo fin troppo disinvolto per ogni banalità. È bene dirlo: questi sindaci hanno violato la legge, in quanto la tenuta del registro è una funzione statale. Purtroppo in un simile clima radicale finisce per passare in secondo piano anche una violazione della legge su certi temi da parte di chi dovrebbe essere un esempio.

di Federico Cenci

Fonte: http://www.zenit.org

 

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