L’Africa e il matrimonio cristiano




di Benedetta Frigerio

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Secondo loro la Chiesa ha solo un modo per superare la crisi della famiglia e l’individualismo che minaccia la vita, basterebbe «rimettere al centro Gesù». Così i coniugi ruandesi Jean Dieudonné e Emerthe Gatsinga hanno parlato davanti ai vescovi riuniti a Roma in occasione del Sinodo sulla famiglia. Vent’anni di servizio alle donne con gravidanze difficili, agli sposi in crisi e alla vita «ci hanno fatto giungere a una sola conclusione: le famiglie hanno bisogno che la Chiesa le aiuti ad approfondire la fede in Gesù Cristo, a cui nulla è impossibile», racconta Jean Dieudonné, 57 anni, a tempi.it.

Jean Dieudonné ed Emerthe si incontrarono nel 1979 nell’ambito del movimento dei Focolari, al quale appartengono entrambi. «Capimmo che Dio ci chiamava a vivere la nostra vocazione nel matrimonio, che eravamo donati l’uno all’altra per servirlo». Nove anni dopo, nel 1988, i due coniugi sposandosi capirono di «voler vivere per gli altri e in particolarmente per le famiglie. Avevamo lo stesso desiderio di dedizione totale a Dio, volevamo lavorare per Lui, testimoniandolo in famiglia. Insomma, entrambi desideravamo una dimora in cui Dio si vedesse, si vivesse e si potesse donare agli altri». Con il matrimonio i due giovani si promisero «di non rimanere mai chiusi su noi stessi e di donarci agli altri».

Dopo le nozze la famiglia si trasferì in Francia, dove Jean Dieudonné avrebbe concluso gli studi in medicina. Fu così che la coppia scampò a uno degli eventi più drammatici del XX secolo. «Era il 1994 quando ricevemmo notizia del genocidio che sterminò un milione di persone, fra cui i miei fratelli e i loro coniugi, lasciando orfani quattro dei miei nipoti». I Gatsinga scelsero quindi di tornare in Africa e di adottare quei bambini: «La ferita e il dolore erano indescrivibili, ma capimmo che in quella sofferenza Dio ci chiamava».

Le donne in difficoltà. Un anno dopo Jean Dieudonné e Emerthe decisero anche di aprire in Ruanda una clinica con oltre venti posti letto, dove accogliere le persone ferite fisicamente e moralmente: «Io sono medico e mi occupo della salute delle donne in condizioni anche difficili, mentre mia moglie è economa e gestisce la clinica, le accoglie: ognuno fa il suo lavoro, senza invadere il campo l’uno dell’altro, ma siamo uniti nel servizio costante».

Negli anni sono aumentate anche in Africa le donne che davanti a una gravidanza inattesa pensano ad abortire, così «quando arrivano – continua il medico – facciamo di tutto per trovare il tempo per loro. Prima le ascolto e cerco di capire perché hanno paura o perché non vogliono il bambino, poi parlo loro dell’amore di Dio, spiegando che il figlio in grembo è un dono del Signore e che tenerlo è una ricchezza anche se in quel momento non sembrerebbe». Non è mai semplice, certo, «ci vuole tempo. Alcune di loro pian piano iniziano a fidarsi, altre no purtroppo, ma la maggioranza cambia idea». Infatti Jean Dieudonné oggi è padrino di tantissimi bambini nati con il suo aiuto.

Insieme i coniugi Gatsinga si occupano anche della formazione delle giovani coppie sposate e fidanzate: «Condividiamo i problemi e le sfide principali, come l’assenza del lavoro o la difficoltà di accedere agli studi, e spieghiamo loro che c’è un solo modo di superarle: bisogna che Dio sia messo al centro, perché Lui può davvero tutto. È stato lo stesso per noi quando abbiamo scelto di allevare otto figli anziché quattro in un momento economicamente e spiritualmente duro, quando le ferite del genocidio hanno colpito il nostro paese. Ed è così ancora oggi, quando emergono le nostre diversità o i nostri limiti». Nella vita dei figli, che hanno dai 31 ai 15 anni, la dedizione ai bisognosi di Jean e Emerthe non ha mai inciso negativamente, «perché non siamo due che si dividono fra la famiglia, il lavoro e gli impegni sociali, ma sia una famiglia unita che cerca di serviLo ovunque si trovi».

L’opera della grazia. I Gatsinga sono convinti che è proprio grazie alla fede se le famiglie ruandesi hanno retto «a tutte le difficoltà presenti nel nostro paese» ed è «quando la famiglia si è indebolita che sono cominciati i divorzi e le separazioni, anche se non siamo certo ai livelli occidentali». Senza contare il diffondersi delle convivenze, «che molti scelgono a causa del costo del matrimonio». Per questo i due ruandesi ci tengono a ricordare «a chi si deve sposare o a chi lo è già che occorre aggrapparsi alla grazia donata da Dio nel sacramento, semplicemente pregando insieme, partecipando ai sacramenti, condividendo l’educazione dei figli e l’economia familiare». E funziona, stando alla testimonianza dei Gatsinga: «Sono tanti i giovani che, facendo un percorso di fede consapevole, decidono per il matrimonio cristiano, magari rinunciando ai regali e scegliendo una festa nuziale sobria, in genere sostenuta dalla comunità».

La forza della fede. Anche di matrimoni salvati, continua Jean Dieudonné, «ne abbiamo visti molti. Penso a Charles, che poteva chiedere l’annullamento delle nozze con Beatrice quando lei scappò di casa in preda a una malattia psichiatrica, e invece decise di esserle fedele come promesso, nella salute e nella malattia. In seguito Beatrice, tornata a casa, è stata riaccolta e ora i due sposi vivono un’unione più forte e felice».

Insomma la grazia di Dio non tradisce mai? «Dovrebbe domandarlo a Pierre, che ha voluto credere di poter essere felice nonostante la moglie non potesse dargli figli e sua madre cercasse in tutti i modi di convincerlo a trovarsi un’altra donna: “Io la amavo, ma solo chiedendo la forza a Gesù sono riuscito a non cedere alle pressioni”, mi disse». È in forza di questi e altri esempi ancora che venerdì scorso i Gatsinga hanno voluto dire al Sinodo che «è semplicemente con la fede in Gesù che si guadagnano le forze per superare questa crisi di cui tanto si parla».

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