Papa Francesco ha parlato dell'aborto e della famiglia in perfetta continuità con il magistero dei precedenti Pontefici. Ha detto che non bisogna chiamare bene il male e male il bene.

L’aborto è la libertà umiliata dalla licenza




In continuità con il Magistero precedente, Papa Francesco ha indicato l’aborto e l’infanticidio come «delitti abominevoli», secondo il pronunciamento della “Gaudium et spes” (n. 51, Concilio Vaticano II). Durante l’Udienza al Movimento per la Vita italiano del 11 aprile scorso, ha inoltre esortato i presenti alla «testimonianza evangelica», che tra l’altro consiste nel «proteggere» la vita umana «con coraggio e amore in tutte le sue fasi».

Il pronunciamento conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, citato dal Papa, è all’interno del capitolo dedicato alla «dignità del matrimonio e della famiglia» (nn. 47-52). Sempre al n. 51 della “Gaudium et spes” è specificato che Dio è «padrone della vita»: in essa vi sono «stadi inferiori», da non confondere con quelli «meravigliosamente superiori», che sono «la sessualità propria dell’uomo e la facoltà umana di generare».

Paolo VI, nell’enciclica “Humanae Vitae” (1968), esclude «assolutamente» l’«aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche», come «via lecita per la regolazione delle nascite» (n. 14). C’è infatti una «via onesta» per regolare le nascite, che passa attraverso la «perfetta padronanza di se», così da ottenere il «dominio dell’istinto, mediante ragione e volontà» (n. 21). Ed è chiaro che questa è la via della perfezione cristiana, impossibile da realizzare senza un’«ascesi» e, cioè, senza il supporto continuativo della preghiera e dei sacramenti. La via della Croce «esige un continuo sforzo», anche perché ai coniugi, non meno che ai religiosi, è richiesta la «castità», ovvero il «trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale» (n. 22).

Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Evangelium Vitae”, parla diffusamente dell’aborto e della sua condanna da parte di tutta la Tradizione della Chiesa. Papa Wojtyła cita a questo proposito la “Didachè”, il «più antico scritto cristiano non biblico»: «Vi sono due vie, una della vita, e l’altra della morte […] Secondo precetto della dottrina: Non ucciderai […] non farai perire il bambino con l’aborto né l’ucciderai dopo che è nato […] La via della morte è questa: […] uccidono i loro figli e con l’aborto fanno perire creature di Dio […]» (n. 54).

È dunque confermato dal Pontefice polacco il pronunciamento dalla “Gaudium et spes”, che definisce appunto l’aborto come «delitto abominevole», attenuato ipocritamente con «terminologia ambigua» come «interruzione della gravidanza» (n. 58). Ma «guai» – avverte il Papa, citando la Scrittura – «a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (Is 5, 20). È invece oggi, più che mai, necessario avere il «coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla tentazione di autoinganno».

Pio XII (Eugenio Pacelli, 1876-1958) fu strenuo difensore della vita, come ad esempio afferma il bioeticista Leonardo M. Macrobio, in un suo intervento del 2008. L’uomo – ebbe a dire il Papa, citato da Macrobio – «è il bambino, anche non ancora nato» (Discorso alle Ostetriche, 29 ottobre 1951). Quindi, anche l’embrione «ha il diritto alla vita immediatamente da Dio». Da notare l’avverbio «immediatamente», che esclude un diritto alla vita mediato in qualche modo dall’uomo. Questa indisponibilità dell’uomo verso la vita umana, Pio XII la esprime anche nel Discorso all’Associazione famiglie numerose (26 novembre 1951): «La vita umana innocente, in qualsiasi condizione si trovi, è sottratta, dal primo istante della sua esistenza, a qualunque diretto attacco volontario».

E però Pacelli previene un’obiezione: «Questo principio vale per la vita del bambino, come per quella della madre. Mai e in nessun caso la Chiesa ha insegnato che la vita del bambino deve essere preferita a quella della madre». Quindi «l’inviolabilità della vita di un innocente non dipende dal suo maggior o minor valore». Per questo Pacelli parla d’illiceità dell’«uccisione diretta». Se, infatti, alla madre fosse necessaria un’operazione chirurgica urgente, l’eventuale morte del feto non potrebbe più dirsi illecita, poiché conseguenza «indiretta» dell’operazione.

L’aborto volontario è, invece, l’esercizio di una disponibilità sulla vita umana che l’uomo non possiede. Tertulliano, nell’“Apologeticum” (IX, 8), scrive che «a noi [cristiani] è proibito una volta per sempre l’omicidio e non è lecito sopprimere neppure il feto concepito nell’utero, mentre ancora il sangue [materno] sta formando un essere umano».

O Ippolito di Roma, nel “Katapason aireseon elenchos” (“Confutazione di tutte le eresie”, IX, 12, 25), afferma che «donne sedicenti cristiane cominciarono a ricorrere a droghe abortive e a fasciarsi strettamente per sopprimere il frutto concepito (nel loro grembo), poiché non vogliono avere un figlio da uno schiavo o da un uomo di bassa condizione, dato il loro prestigio e la consistenza del loro patrimonio. Guardate a che punto di empietà è giunto quell’uomo senza legge [Callisto, troppo indulgente con la riammissione degli impenitenti, ndr] che insegna l’adulterio e insieme l’assassinio»!

Insegnamenti analoghi ritroviamo in Sant’Agostino da Ippona, San Girolamo, San Basilio, Clemente Alessandrino e nella maggior parte dei Padri greci e latini.

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