La vera fobia oggi è verso la famiglia naturale e, specialmente, numerosa.




in foto il Direttore Stefano Fontana.

di Marco Gabrielli

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Caro Fontana,

abbiamo assistito anche alla pubblicità anti-omofoba sugli autobus triestini. Non voglio giudicare la campagna, lo avete già fatto chiaramente lei e l’arcivescovo sulle colonne e sul sito di Vita Nuova.

Voglio però raccontarle degli episodi che sono capitati a me che mi chiedo e le chiedo se non esistano oggi e non vadano piuttosto contrastate certe “fobie” rivolte contro la famiglia “tradizionale” in generale e la “famiglia numerosa” in particolare.

Penso possa immaginare tutta quella serie di battute che, quasi quotidianamente, vengono rivolte contro chi dichiara la propria fedeltà e il proprio amore verso la propria moglie e i propri figli; chi dichiara di vivere la propria sessualità “come Dio comanda”, senza ridurla a puro istinto da slegare dalla fecondità ricorrendo alla chimica, alla gomma o all’aborto.

Non starò qui ad elencare i problemi che si incontrano avendo tanti figli, e non parlo solo di problemi economici o delle mancate agevolazioni o delle nuove tasse che sembrano voler colpire espressamente chi ha dei figli: chi ha a cuore la famiglia queste problematiche le ha ben presenti.

Non si può negare che ci sia tutta una cultura contro la famiglia e, paradossalmente, anche le campagne in favore della “famiglia omosessuale” non sono altro che l’ennesimo tentativo di delegittimare la famiglia “tradizionale” in un momento in cui questa è “in crisi”.

Ecco alcuni episodi che mi sono capitati negli anni: il primo che racconto è capitato a mia moglie poco prima della nascita della nostra terza figlia quando il ginecologo che ci seguiva ci ha proposto il parto cesareo per procedere così alla sterilizzazione chirurgica: «così non avrete altre preoccupazioni»… Una proposta estremamente grave in quanto proveniva da un medico che giudicavamo autorevole. Non abbiamo avuto entrambi alcuna esitazione a rifiutare una simile proposta, ma quante coppie, davanti al suggerimento di uno specialista, reagirebbero nello stesso modo?

Spiacevole anche quando un impiegato del Comune di Trieste che non conoscevo dal quale mi informavo circa eventuali contributi dopo la nascita del mio quarto figlio, mi ha chiesto: «Adesso basta, no?». Ho dovuto scusarmi per la mia violenta reazione a questa domanda, ma mi auguro che quell’impiegato non abbia ripetuto più quella frase. Io, comunque, ora di figli ne ho cinque…

Triste sapere poi che la ragazzina, figlia di amici, che comunicava gioiosamente la nascita dell’ennesimo fratellino, il sesto se ricordo bene, si sia sentita dire da una compagna di classe: «Incredibile che negli anni 2000 ci sia ancora chi non sa cosa si deve fare per non avere figli!».

Caro direttore, credo che si dovrebbero fare delle campagne contro l’odio e l’ostilità palese nei confronti della famiglia: è questa la risorsa per il futuro del nostro Paese. Queste dovrebbero essere le campagne che Comune, Provincia e Regione dovrebbero patrocinare. E’ questo l’amore, diretto e fecondo perché aperto alla vita, che va incentivato. Non crede?

Marco Gabrielli

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Caro Gabrielli,

lei dice bene: questo è quanto dovrebbero fare Comune e Provincia (e non solo). Nel mio articolo su Vita Nuova on line avevo infatti criticato il Comune e la Provincia per aver concesso il patrocinio. Arcigay e Arcilesbica, in fondo, promuovendo la campagna, hanno fatto il loro mestiere. E’ una associazione di cittadini con diritto di parola. Ma il Comune e la Provincia sono istituzioni pubbliche con lo scopo di garantire il perseguimento del bene comune, il bene della comunità intera, di oggi e di domani. Per fare questo bisogna saper distinguere tra desideri e diritti. I desideri non possono avere un riconoscimento pubblico, nemmeno nella forma simbolica del patrocinio, ma rimangono nella sfera privata. Se l’amministrazione non sa fare questo si limita ad annotare, come un notaio, i desideri dei cittadini e a distribuire riconoscimenti e patrocini senza un criterio. Un Comune e una Provincia ciechi?

La sua domanda mi dà la possibilità di fare alcune osservazioni sulla polemica che è seguita al mio articolo. Il Sindaco Cosolini ha dichiarato di aver dato il patrocinio solo in quanto la campagna era contro l’omofobia e, quindi, per la tolleranza. Senza cioè avvalorare nessuna tesi sulla “famiglia omosessuale”. Il fatto però è che la lotta all’omofobia è solo il pretesto per far passare il “diritto alla famiglia omosessuale”, il che implica due cose, ambedue sbagliate: che quella omosessuale sia una famiglia, che esista un diritto alla famiglia. In questo modo viene considerato atteggiamento omofobo, ossia di odio verso gli omosessuali paragonabile al razzismo, la semplice affermazione che la famiglia vera è solo quella eterosessuale fondata sul matrimonio. Questo è inaccettabile. Che non sia più possibile dire questo senza essere accusati di essere omofobi è inaccettabile e consiste in una violenza nei confronti di coloro che la pensano così, come è nel caso del sottoscritto.

Che poi la lotta all’omofobia fosse solo un pretesto risulta evidente da quanto scritto a Vita Nuova on line da Roberto Lillo, ideatore della campagna: «Il fatto stesso che lei definisca le “famiglie omosessuali” come, appunto, famiglie, parla da sé. Il messaggio che volevamo veicolare attraverso questa campagna è arrivato e, come è arrivato a Lei, sarà arrivato a tantissimi cittadini. Vorrei far notare come, nella campagna, non venga mai menzionata la parola “famiglia”, eppure tutti hanno capito cosa volevamo comunicare». Non si preoccupi Lilio, che questo fosse il messaggio lo abbiamo capito tutti e proprio perché questo era il messaggio e non un generico appello contro l’omofobia Comune e Provincia non dovevano dare il patrocinio.

La Presidente della Provincia, infatti, parla della concessione del patrocinio non tanto perché la campagna era contro l’omofobia ma per tutelare i diritti di cittadinanza di tutti. Confermando così che il motivo del patrocinio era che la campagna chiedeva un riconoscimento della coppia omosessuale come se fosse una famiglia. Ma una coppia non è una famiglia. La famiglia è una istituzione sociale, non semplicemente un rapporto affettivo, perché allora farei una famiglia anche con il mio cane. La famiglia è una istituzione alle seguenti condizioni: che sia aperta alla procreazione e quindi generatrice di società, ossia che sia eterosessuale; che sia aperta alla complementarietà e quindi generatrice di socialità ossia che sia (ancora) eterosessuale; che sia fondata sul matrimonio ossia su un patto pubblico di assunzione di responsabilità nei confronti della coppia, dei figli e della società intera. Al di fuori di ciò ci sono coppie ma non famiglie.

Ora, affermare questo non ha niente a che vedere con l’omofobia, ossia con l’odio per gli omosessuali. E non si tratta di argomentazioni confessionali ma di argomenti di sola ragione. Confondere le cose è pretestuoso.

Stefano Fontana

 

4 risposte a “La vera fobia oggi è verso la famiglia naturale e, specialmente, numerosa.”

  1. Sara Matijacic ha detto:

    ma perchè, scusate, un cane non può far parte di una famiglia?

  2. sara ha detto:

    ma quale omofobia,ma per favore è una questione di buon senso! Se il buon Dio ci ha creati uomini e donne un motivo ci sarà..e la natura non sbaglia per es.con lo stesso DNA nasci e con lo stesso DNA morirai sia accetti di essere Paola o che a tutti i costi vuoi essere Paolo…..

    • Giovanni Succhielli ha detto:

      Interessante: scopro oggi su queste pagine di essere un soggetto eterosessuale fondamentalmente masochista (in alternativa soffrirei di sdoppiamento di personalità, chissà!)in quanto membro di una famiglia numerosa e “tradizionale”, ma al contempo sostenitore di un’idea di amore omosessuale -nonché famiglia- esistente e testimoniata già dall’ VIII sec a.C.; antica, dunque, quanto quella etero.
      Salutando, attendo delucidazioni sul mio stato di salute psichica.

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