La Slovacchia al voto




L’evento più importante della settimana mitteleuropea si gioca questa volta in Slovacchia dove a seguito di un vivace dibattito politico e popolare sul tema sono stati indetti tre quesiti referendari per verificare il rilievo e il valore sociale che la popolazione riconosce ancora oggi, anche giuridicamente e pubblicamente, all’istituto del matrimonio e al diritto alla libertà di educazione. In teoria, come forse qualcuno ricorderà, qualcosa in tal senso era stata già sancita l’estate scorsa, quando il Parlamento ha inserito nella Costituzione un passaggio specifico che definiva il matrimonio “come unione di un uomo e di una donna”. Poco dopo, però, il problema è riemerso grazie (si fa per dire) alla solerzia del Ministero del lavoro che ha lanciato a livello nazionale una nuova strategia operativa anti-famigliare con il pretesto della solita lotta alle discriminazioni di genere. Da qui le nuove polemiche e la raccolta delle associazioni pro-family di oltre 400.000 firme per chiedere finalmente un referendum specifico sul tema. Nonostante varie polemiche e campagne-stampa contrarie le aspettative sembrano comunque ottimistiche, sia perché il Paese vanta ancora una certa rete di relazioni famigliari che da altre parti si è invece nel frattempo perduta e sia perché l’opinione pubblica nel suo complesso – secondo gli ultimi sondaggi – è ancora orientata a stragrande maggioranza verso la tutela dei valori naturali e sociali tradizionali, tra il 70 a quasi il 90% addirittura, secondo qualcuno. Il voto è previsto per il 7 febbraio e la consultazione è talmente sentita che per l’occasione anche Papa Francesco ha voluto dimostrare la sua vicinanza verso le ragioni dei proponenti, ricevendo a Roma una delegazione di rappresentanti e spronandoli a continuare la mobilitazione. Insomma, anche se si tratta ‘solo’ di un referendum di carattere consultivo di un piccolo Paese (poco più di 5 milioni di abitanti, dopotutto) dell’Europa dell’Est, la posta in gioco va ben oltre i confini nazionali e avrà comunque un significato orientativo, che farà ‘costume’ – come si dice in questi casi – in un senso o nell’altro, anche per i Paesi vicini, alcuni dei quali (si pensi solo alla Repubblica Ceca) affrontano invece già da tempo fenomeni diffusissimi di disgregazione familiare e sociale. Particolarmente interessante è stata a questo proposito una lettera che alcuni intellettuali e uomini di cultura slovacchi hanno indirizzato al Presidente della Repubblica in cui hanno definito l’ideologia anti-familiare in voga come un’ideologia in primis anti-nazionale, da rifiutare perché nemica dell’autentico sentimento patriottico del Paese: e non è uno slogan ma un’annotazione lungimirante e quantomai importante da sottolineare perché mette in luce chiaramente quali sono le origini ultime di certe ideologie astratte pensate a tavolino, che nascono proprio in ristretti salotti elitari internazionali lontani mille miglia dalla fatica e dalla vita quotidiana della gente normale che suda ogni giorno per guadagnarsi il pane e ha ben altri problemi. O meglio, spesso ha proprio il problema di non vedersi quasi mai riconosciuto dallo Stato e dalle autorità pubbliche il proprio contributo operoso e fattivo alla costruzione di quel bene comune di cui poi beneficiano invece tutti a livello di collettività vedendosi così dapprima ignorata e poi pure disprezzata, cioè in pratica fatta fessa due volte. In ogni caso e indipendentemente da come andrà, il lato positivo di questa mobilitazione ci pare precisamente in questa riflessione corale sul bello della famiglia e sull’utilità del fare famiglia, qualcosa che si dà troppo spesso per scontato e che non si quantifica mai abbastanza. L’appuntamento del referendum di questi giorni sta ‘costringendo’ invece tutta l’opinione pubblica a tornare a ragionare concretamente su diritto famigliare e diritti della famiglia, doveri dei genitori e doveri delle scuole, degli educatori e dello Stato, re-impostando così finalmente l’intera questione dal punto di vista della soggettività pubblica dell’istituto matrimoniale in sé che è poi la vera chiave di volta di tutto perché confuta in radice – dal punto di vista del diritto – anche le premesse teoriche della giustificazione alla possibilità di divorzio. Vedremo se basterà: noi ce lo auguriamo senz’altro. Comunque, come s’intuisce, la battaglia in corso – definita ancora recentemente dal Pontefice con i tratti di un nuovo totalitarismo – non si esaurisce di certo qui in un giorno solo e quale che sia l’esito referendario è lecito presumere che andrà avanti ancora per molto, a Bratislava come altrove; anzi, a dare uno sguardo obiettivo a quello che sta accadendo ad altre parti in giro un po’ per l’Europa, questo non è che l’inizio.

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