Papa Francesco ha riformato il processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio Papa Francesco ha riformato il processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio. Le considerazioni di don Luis Okulik, Vicario giudiziale della diocesi di Trieste.

La riforma del processo per la nullità del matrimonio: spieghiamola




Giustizia e verità del vincolo matrimoniale

l 15 agosto 2015, il Santo Padre Papa Francesco ha pubblicato due Motu Proprio circa la revisione del processo canonico per la dichiarazione di nullità dei matrimoni. Il primo riguarda le Chiese latine (“Mitis iudex Dominus Jesus”) e il secondo le chiese di rito orientale (“Mitis et misericors Jesus”). La pubblicazione è avvenuta con il Sinodo sulla famiglia in corso, quindi senza attendere le sue conclusioni. La stampa ne ha parlato ampiamente e molti giornalisti hanno usato l’espressione “divorzio cattolico”, sostenendo che alcune riforme contenuti nei due Motu Proprio avrebbero reso molto facile ottenere la dichiarazione di nullità. Per chiarire la questione e far conoscere esattamente il contenuto delle nuove disposizioni canoniche in materia di nullità dei matrimoni, abbiamo posto alcune domande di merito a don Luis Okulik, Vicario giudiziale della Diocesi di Trieste e Consultore del Pontificio Consiglio per i testi legislativi.

 

Il Motu Proprio abolisce la “doppia sentenza conforme”. Può spiegare cosa è la doppia sentenza e quale quadro si configura con la sua abolizione?

Nelle cause di dichiarazione di nullità dei matrimoni celebrati con rito religioso la necessità della cosiddetta “doppia sentenza conforme” era stata introdotta nel 1741 da Benedetto XIV, al tempo stesso in cui veniva anche istituita la figura del difensore del vincolo, come è oggi conosciuto in linguaggio giuridico. Le ragioni per queste “novità” di quel tempo si possono trovare nella necessità di aumentare le garanzie di un giusto processo in questioni che riguardano lo stato giuridico delle persone nella Chiesa cattolica, per cui veniva formalmente richiesto l’intervento di una seconda istanza giudicante composta da giudici diversi da quelli che avevano deciso sulla dichiarazione di nullità nella prima fase del processo. In questo modo, la seconda istanza aveva il compito primario di verificare se il processo di prima istanza fosse stato istruito in conformità alle leggi procedurali e se fosse stato garantito il diritto alla difesa delle parti coinvolte. Come si può vedere, si trattava di riaffermare sia l’importanza del vincolo matrimoniale sia il valore della tutela del diritto dei fedeli ad avere un giusto processo.

L’abolizione di questo requisito per opera dei due recenti motu proprio di Papa Francesco indica che le garanzie di un giusto processo sono assicurate nell’attuale diritto della Chiesa anche da un unico grado di giudizio.

D’altronde, questa questione è stata studiata a lungo. Non possiamo dimenticare che l’ultimo atto di governo di Papa Benedetto XVI, prima di dichiarare davanti ai cardinali la sua decisione di rinunciare all’ufficio di Romano Pontefice, il giorno 11 febbraio 2013, fu precisamente la soppressione della seconda istanza dei processi trattati presso la Rota Romana, che è il tribunale ecclesiastico che direttamente dipende dall’autorità pontificia. È evidente che la Commissione costituita da Papa Francesco per la revisione del processo matrimoniale canonico ha lavorato sulla base di quanto era già stato considerato da Papa Benedetto XVI.

Un’altra novità del Motu Proprioè il cosiddetto “processo breve”. Può illustrare di cosa si tratta, a quali condizioni è possibile?

In verità il processo breve è una procedura già prevista nell’ordinamento vigente. La novità piuttosto risiede nel fatto che adesso possono essere i singoli vescovi diocesani, e non già soltanto quando autorizzati dalla Segnatura Apostolica, a procedere in questa maniera. Si tratta di una decisione per decreto, presa dopo aver raccolto sufficienti elementi di prova che mostrano che la causa non richiede una indagine così accurata come quella che si tratta con procedura ordinaria. L’elemento distintivo di questa scelta è che coinvolge direttamente il vescovo diocesano nella decisione.

Gli esempi che il Motu Proprio fa circa le condizioni per il processo breve figura anche un “eccetera”. Qualcuno l’ha trovato strano in un testo giuridico.

La tradizione giuridica della Chiesa cattolica insegna che qualsiasi eventuale imprecisione dei testi giuridici può essere superata, soprattutto con il ricorso al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che ha la competenza per interpretare le leggi ecclesiastiche chiarendo i dubbi che si possano presentare nella loro concreta applicazione.

Tuttavia, quel “eccetera” non compare nella formulazione dei nuovi canoni ma nelle regole procedurali che li accompagnano quando si presentano alcune circostanze a titolo esemplificativo. Papa Francesco ha definito queste regole quali “strumenti” che mirano a rendere l’operato dei tribunali più rispondente alle esigenze dei fedeli. Quando si collocano i nuovi canoni nel contesto più ampio dell’intera normativa canonica si capisce che le regole procedurali, alcune delle quali erano già vigenti nel regolamento della Segnatura Apostolica, contengono un quadro di riferimento che da più ampio margine alla discrezionalità dei vescovi diocesani al momento di decidere sull’opportunità di seguire la via del processo breve.

Tra le motivazioni per la dichiarazione di nullità figura anche la  “mancanza di fede”. È una novità o c’era anche prima? Qual è il suo significato?

Il riferimento alla mancanza di fede non è considerato una causale per l’avviamento di un processo di dichiarazione di nullità ma una circostanza che potrebbe consentire al vescovo diocesano di seguire la via del processo breve, senza necessità di una indagine più accurata come è caratteristico di un processo ordinario, però sempre in presenza di un motivo sufficientemente valido.

Tuttavia la questione si studia da molto tempo. Forse pochi ricordano ancora che Papa Benedetto XVI, poco dopo la sua elezione, e durante un incontro con il clero della Diocesi di Aosta, il 25 luglio 2005, disse che tendeva a pensare che il sacramento del matrimonio potesse essere invalido qualora fosse celebrato senza fede. Lui stesso però riconobbe che la questione doveva essere ulteriormente approfondita, come pure la situazione penitenziale dei divorziati risposati nelle Chiese ortodosse, fatto che riguarda il rapporto tra indissolubilità e sacramentalità. Una riflessione simile, accompagnata da una proposta di esplorazione di procedure legate all’ufficio dei vescovi diocesani per trattare alcune cause di nullità matrimoniale, era già presente nel suo libro-intervista “Il sale della terra”, del 1996. Inoltre, lo stesso Papa Benedetto avviò le consultazioni per una riforma del diritto canonico in aspetti che riguardavano il matrimonio canonico. La bozza di riforma proposta al Papa rimase in sospeso a causa della sua rinuncia. Tutti questi particolari servono a mostrare che la riflessione su questi argomenti all’interno della Chiesa cattolica si è nutrita da tanti contributi e da tante esperienze diverse, il che inoltre spiega la celerità con la quale la Commissione nominata da Papa Francesco ha potuto formulare la sua proposta in risposta alle richieste dei Padri Sinodali e delle conferenze episcopali nel 2014. Infatti, non si dovrebbe dimenticare che nell’instrumentum laboris del Sinodo sulla famiglia ancora in corso si raccolgono le molteplici richieste di snellire le procedure, di rivedere la normativa della doppia sentenza conforme, di istituire un processo breve come pure di considerare un maggiore decentramento dei tribunali ecclesiastici. E tutto ciò con la finalità di rendere più accessibili, agili, e possibilmente gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale.

Sulla stampa abbiamo letto che con l’applicazione del Motu proprio ci saranno milioni di annullamenti. È vero?

Alcune interpretazioni iniziali delle modifiche apportate dai due motu proprio non sembrano tener conto dei criteri giuridici che le hanno ispirate. Forse ci sarà un incremento nell’introduzione di cause presso i tribunali ecclesiastici, però non per questo verrà meno il rigore proprio del processo canonico. Un giusto processo richiede che ogni eventuale causale di nullità venga provata con certezza morale, in conformità con le disposizioni della normativa canonica. Credo che sia necessario affermare che le scelte fatte dal Papa a questo riguardo sono in linea con la tradizione giuridica della Chiesa cattolica, e che la decisione di snellire il processo matrimoniale canonico sottolinea con forza che esso conserva tutta la sua validità, il che non si oppone a un atteggiamento di vicinanza pastorale, come qualcuno vorrebbe sostenere. La novità piuttosto risiede nel fatto che la nuova normativa richiede formalmente un momento pastorale previo più intenso, persino facente parte della pastorale matrimoniale diocesana unitaria, che diventa occasione per la raccolta degli indizi di nullità e per l’avviamento dell’indagine che condurrà subito dopo al processo vero e proprio. Credo sia questo l’ambito in cui saranno più evidenti le ricadute della nuova normativa, perché qui sarà maggiormente evidente la prossimità dei fedeli ai loro pastori, come auspicato dai due motu proprio.

In sintesi, potremmo dire che l’obbiettivo delle riforme introdotte è chiaramente quello di moltiplicare il servizio dell’amministrazione di giustizia nella Chiesa, rendendolo più accessibile ai fedeli, ma non quello di moltiplicare le dichiarazioni di nullità matrimoniale.

Come si dovranno attrezzare le diocesi per dar corso al Motu Proprio? Sono tutte pronte per farlo?

In quanto organismo competente, la Segnatura Apostolica dovrà ancora dare indicazioni più precise sulle modalità di applicazione della nuova normativa in riferimento ai tribunali diocesani. Tuttavia occorre segnalare che, tecnicamente, i due motu proprio non hanno abolito i tribunali regionali. Essi rappresentano un modo di organizzazione giudiziaria che rimane valido, e che, eventualmente, dovrà essere arricchito dalle strutture diocesane di pastorale pre-giudiziaria, per la raccolta dei documenti necessari per l’avviamento di una causa. L’elemento nuovo è che un vescovo diocesano, nel modo in cui verrà indicato, potrà chiedere di costituire un tribunale per la propria diocesi, se lo riterrà opportuno e sarà in grado di assicurare le necessarie risorse. Ma qui penso che interverrà anche la conferenza episcopale, che finora è responsabile del finanziamento dei tribunali. Perciò, sarà necessario attendere finché tutti gli organismi competenti avranno definito i modi più adeguati di applicazione della nuova normativa per sapere quale forma prenderà la struttura dei tribunali ecclesiastici.

(A cura di Stefano Fontana)

 

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