Nell’ansia di novità che caratterizza i nostri tempi, sempre più le ricorrenze e gli anniversari passano in secondo piano cosicché quando da qualche parte per caso ne spunta qualcuno celebrato pubblicamente in grande stile non possiamo fare a meno di interessarcene. Ammettiamo quindi che ci ha decisamente colpito (positivamente, s’intende) quanto sta accadendo in queste settimane in Polonia dove – in preparazione del prossimo 1050° anniversario del battesimo storico della Nazione (risalente al battesimo del Re Mieszko I, nel 966) – presso il Santuario mariano della Madonna Nera di Jasna Gora a Czestochowa i padri paolini che da tempo immemore custodiscono la memoria più nobile della tradizione spirituale polacca, cattolica e mariana, hanno inaugurato una serie di incontri di alto livello, fatti di preghiera quanto di cultura, sui cosiddetti ‘voti di Jasna Gora’, celebrati nel 1956 per volontà dell’allora Primate, il cardinale Stefan Wyszynski, uno dei maestri di Giovanni Paolo II (qualcuno lo ricorderà forse in una di quelle immagini che fece epoca inchinarsi in piazza San Pietro davanti al suo ex studente di Cracovia neo-eletto Papa che rispose d’istinto abbracciandolo commosso) in uno dei passaggi storici più drammatici della vita del popolo slavo dell’epoca contemporanea. In realtà, però, la tradizione dei ‘voti per la Nazione’ risaliva ancora più indietro, almeno alla metà del XVII secolo, quando l’allora re Giovanni Casimiro – in veste di sovrano e guida terrena della Nazione – pregò solennemente nella cattedrale di Leopoli la Vergine, dichiarandola ‘Regina della Polonia’, di salvare la sua terra allora invasa dalle truppe svedesi: è in questi anni che si colloca, tra l’altro, anche il celebre assedio del santuario di Jasna Gora che fu miracolosamente salvato dai protestanti con un’incredibile resistenza armata fatta solo da pochi monaci e contadini ed entrerà nella leggenda della storia militare nazionale. Così, quando Wyszynki nel 1956 – sotto la dittatura comunista – tornò (o meglio, fece tornare, perché lui era già in carcere) l’episcopato polacco a Jasna Gora invitandolo a rinnovare le promesse pubbliche di fedeltà eterna al Vangelo di Gesù Cristo come unica verità che salva non solo i singoli ma anche il destino delle Nazioni, tutti compresero la portata epocale di quella cerimonia religiosa apparentemente insignificante. Di fatto, una chiamata a prendere in mano le armi spirituali e a combattere – usando un linguaggio paolino – senza esitazione contro i principi di questo mondo che negli anni Cinquanta in Polonia avevano inequivocabilmente il volto della falce e martello.
Il passaggio più importante era senz’altro nella rivendicazione del primato pre-politico della legge naturale e divina, qualcosa che la menzogna marxista cercava continuamente di rimuovere dalla coscienza viva del corpo sociale. Ma poi c’erano altri passaggi strabilianti – a rileggerli oggi – come questo: “Noi tutti custodiremo la vita che sboccia…Considereremo il dono della vita come la Grazia più grande del Padre di ogni Vita e il tesoro più prezioso della Nazione”. O quest’altro: “Ti promettiamo di custodire la indissolubilità del matrimonio, di difendere la dignità della donna, di vegliare alla soglia del focolare domestico, perché intorno ad esso la vita dei Polacchi sia sicura”. O quest’altro ancora: “Ti promettiamo…di innestare negli animi e nei cuori dei figli lo spirito del Vangelo e dell’amore verso di Te, di custodire la Legge Divina, le tradizioni cristiane e patrie. Ti promettiamo di educare la giovane generazione nella fedeltà a Cristo, di difenderla dall’empietà e dalla depravazione e di circondarla con una vigile protezione paterna”. Visto quello che poi accadde, non solo Wyszynski e Giovanni Paolo II ma anche molti altri osservatori esterni furono portati a considerare quel singolare gesto pubblico come ‘profetico’ e l’inizio di una nuova rinascita spirituale della Nazione. Che oggi i polacchi tornino quindi a Jasna Gora – per ricordare quei fatti e preparare la prossima celebrazione del loro battesimo di popolo – non può che essere un segnale beneaugurante, tanto per la Chiesa quanto per la società e la politica. Giovanni Paolo II, lo si ricorderà, aveva sognato addirittura una ‘civiltà dell’amore’ – cioè un ritorno pratico a vivere e trasmettere concretamente le radici cristiane di popolo, non un’utopia – per la sua Patria che aveva così a lungo sofferto, ma non fece in tempo a vederla. Oggi, anche se la nazione continua a essere un faro di speranza per molti aspetti (in primis sotto il profilo delle vocazioni), soprattutto se vista dal nostro Occidente, non mancano tuttavia segnali preoccupanti di secolarismo e demoralizzazione dei costumi, in particolare tra le nuove generazioni e i nati dopo l’89, che – comunque – anche culturalmente, è un anno che ha significato quasi una rivoluzione nella mentalità diffusa. Se è vero che i muri non ci sono più e la Polonia – come il resto d’Europa dell’Est, d’altronde – è ormai da tempo libera, tuttavia la battaglia per il possesso della sua anima profonda è ancora in corso senza esclusione di colpi. C’è da sperare solo che gli eredi sulla piazza di Wyszynski (di cui pure tra l’altro è in corso il processo di beatificazione) e San Giovanni Paolo II ne raccolgano al più presto il carisma e il testimone: così a occhio pronostichiamo che questa volta, con la preoccupante avanzata a macchia d’olio del relativismo ideologico e politico, la durata della battaglia non permetterà pause molto lunghe.
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