La Pira, contro l’aborto l’ultima battaglia




Il 5 novembre 1977, esattamente quaranta anni fa, moriva a Firenze Giorgio La Pira, il “sindaco santo”, come era stato nominato. Era stato infatti sindaco del capoluogo toscano dal 1951 al 1965 (con una breve interruzione) oltre che uno dei più importanti padri della Costituzione italiana e poi parlamentare. Ai suoi funerali, il 7 novembre, l’allora arcivescovo di Firenze, cardinale Giovanni Benelli, disse che «Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede». Attualmente è in corso la causa di beatificazione.
Nel 1976, sebbene già malato, su invito del segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini, accetta di ricandidarsi alla Camera e al Senato, dove viene eletto con grande voto popolare. E la sua ultima battaglia sarà quella per evitare all’Italia l’introduzione di una legge che legalizzasse l’aborto. La legge però venne poi venne approvata dal Parlamento pochi mesi dopo la sua morte, nel maggio 1978 (Legge 194). Cercò di contrastare in tutti i modi quella che percepiva come una tragedia, scrisse articoli, fece interventi, mandò telegrammi a tutti i leader politici. Vogliamo ricordarlo riproponendo un importante articolo che scrisse per l’Osservatore Romano il 19 marzo 1976 (fu sobriamente titolato “Di fronte all’aborto”), quando la proposta di legge era già una realtà, e che sintetizza le ragioni del “no” all’aborto. (Redazione)

Ma perché questo «no» tanto deciso all’aborto? Perché questo «punto fermo» (Von Balthasar), questa frontiera non transitabile, non solo per i cristiani, ma per gli uomini in quanto tali («sono uomo; e nulla di umano mi è estraneo», diceva Seneca, ep 95)?
Perché? La risposta è precisa: perché il «concepito» è già un essere umano: una persona umana, con il concepimento è già venuta all’esistenza: un essere umano nuovo è, perciò – sia pure in via di germinazione – già in vita; è come una semente già seminata, già radicata, nel suolo materno ed avviata a diventare spiga.
«Qui in utero sunt… intelliguntur in rerum natura esse» (D. 9.5.26) (i concepiti sono da considerare come già esistenti, già nati); «Nasciturus pro jam nato habetur» (D. 1.5.7) (il nascituro è da considerare già nato).
Questo principio – che la giurisprudenza romana creativa del tempo augusteo introdusse solo nel sistema dello «jus» civile, operando davvero un mutamento qualitativo nelle strutture del pensiero sociale e giuridico non solo romano ma altresì dell’intera civiltà umana – diviene, col cristianesimo, una delle basi universali costitutive dell’ edificio dei diritti inviolabili dell’uomo: il diritto alla vita.
Ecco perché il «no» tanto fermo – frontiera intransitabile per tutti gli uomini! – all’aborto: perché l’aborto è, per definizione, atto estintivo della vita di una persona umana: è l’uccisione di un uomo.
Vi sono delle grandi carenze, dei grandi «vuoti», nelle strutture sociali e giuridiche non adeguate (come dovrebbero essere) alla tutela dei nascituri? Siano eliminate – con grande urgenza e determinazione – con provvedimenti legislativi adeguati: ma mai col togliere l’essere, la vita, al nascituro. Non uccidere: è, per tutti, l’intransitabile frontiera della autentica, unica, comune civiltà umana.
Per i credenti il comandamento di «non uccidere» si traduce con il principio universale delle «istituzioni divine» (IV, 4, 11) di Lattanzio: «Solum Dominus habet vitae et necis veram et perpetuam potestatem» (Solo Iddio ha la vera e perpetua potestà del diritto di vita e di morte).
E quanto all’aborto, vale sin dall’alba apostolica della Chiesa questo principio della Didaché; «Tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato». Atenagora dice che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna gli assassini dei bimbi, anche quelli che vivono ancora nel grembo della madre, dove essi sono «già l’oggetto delle cure della Provvidenza divina»; e Tertulliano (Apoc. IX, 8) dice: «È un omicidio anticipato impedire di nascere: poco importa che si sopprima !’anima già nata», che la si faccia scomparire sul nascere: «è già un uomo colui che lo sarà» .
Questo principio – fondato sul comandamento divino «Tu non ucciderai» – la Chiesa lo ha sempre, con la medesima fermezza, affermato dall’alba apostolica sino agli ultimi Pontefici (Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, ed ora Paolo VI). Punto fermo, frontiera intransitabile, tutela e garanzia della vita e dell’essere per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i popoli.
Perché «no», sempre, fermamente, all’aborto? Per la stessa ragione per cui si dice, a tutela della vita (per tutti gli uomini), no all’uccisione dell’uomo.
Oltre questa prima e fondamentale ragione, saldamente ancorata al fondo dell’essere, ve ne è una seconda, relativa al «piano teleologico della storia». Cioè: la storia – nei suoi due essenziali versanti: cioè quello delle «nazioni» e quello della Chiesa – è finalizzata; tende globalmente, cioè, ad un fine: a quello della salvezza, della unità e della pace nel mondo (del corpo delle nazioni) per un verso e a quello dell’unità e della pace della Chiesa (del Corpo mistico di Cristo) per l’altro verso.
Come c’è una teleologia nella natura (confronta «Casualità e teleologia nelle scienze della natura» di Walter Heitler, 1967, Boringhieri, Torino) così c’è una teleologia nella storia; il corso del fiume storico è unico: c’è – malgrado le «anse» – un fine unico: «La storia é biografia di uno: di Cristo» come dice Fornari: «Tutti i capelli del vostro capo sono numerati, dice il Signore!».
C’è quindi un «piano storico» un «progetto storico» di Cristo che la storia attua, nel suo corso verso l’inevitabile foce escatologica (di grazia, di croce, di resurrezione, di unità e di pace) verso cui è irreversibilmente avviata. «La storia si arrenderà» (Paolo VI).
Ebbene: chi sono i protagonisti, gli esecutori, gli attori di questo «progetto» storico di Dio, di Cristo, che inevitabilmente attraversa ed investe tutti i popoli e tutti i tempi?
Chi sono? Gli uomini, tutti gli uomini; tutti gli esseri umani, nati e nascituri. Seneca ha una immagine significativa e felice per indicare questa inevitabile unità di struttura e questa inevitabile unità di dinamismo del genere umano tutto intero: quella della volta: «La società si può rassomigliare ad una volta che certamente cadrebbe, qualora le pietre, e questo ne fa la solidità, non si reggessero a vicenda» (Ep. 95).
Ogni essere umano (ogni uomo, in atto o in potenza, nato o nascituro) è, quindi, una pietra essenziale all’edificazione ed alla solidità di questa unica volta, ed alla celerità ed al progresso di questo unico dinamismo.
L’aborto sottrae – con l’estinzione dell’ essere del nascituro – una di queste pietre essenziali all’edificazione di questa volta, uno di questi «colpi di remo» essenziali alla navigazione della nave lanciata verso il «porto escatologico» nell’oceano della storia. I «talenti» di cui questo nascituro è dotato – grandi o piccoli che siano – sono sottratti all’intero corpo ed alla unità dell’intero genere umano: è una «sottrazione» fatta al patrimonio comune dell’unica solidale Chiesa e del mondo; la storia della civiltà, realizza un «progetto trascendente», una «iniziativa trascendente» che viene «da fuori», «da sopra» (progetto storico di Dio, di Cristo) al quale è preordinato un «mandato», una scelta, che investe tutti gli uomini, che viene appunto da Dio e da Cristo.
Se questa scelta viene, con l’aborto, impedita? Si pensi al caso nel quale l’aborto estingue vite di eccezionale portata per la storia della Chiesa, della civiltà e dei popoli. Se Dante non nasceva, se Leonardo, se Michelangiolo, se il Battista non nascevano, se le figure perciò più prestigiose della santità, dell’ arte, della politica (Augusto) non fossero nate, se il piano storico di Dio – teleologia della storia – fosse stato terribilmente frustrato?
Nell’orbita di questa domanda si situa la questione così detta della «filosofia delle genealogie» nella Sacra scrittura (Antico e Nuovo Testamento): genealogia di Adamo, di Noè, di Abramo… di San Matteo e di S. Luca: c’è in esse una idea centrale? Hanno un’idea direttrice che le unisce e le muove, muovendo la storia intera di Israele, della Chiesa, del mondo? Sono come un filo conduttore che porta, di generazione in generazione, una speranza unica una finalità unica? Non tendono tutte insieme ad un fine che va ad una sola foce? Non sono tappe di un unico itinerario, anelli di una sola catena che avvolge la storia intera di Israele, della Chiesa, del mondo?
La risposta è tanto chiara, tanto evidente: se c’è un piano, c’è una «Provvidenza che governa il mondo», come dice Dante; e lo governa, finalizzandolo, facendolo tendere invincibilmente ed inevitabilmente verso Cristo; verso il Messia ed il Suo Corpo Mistico. Tutta la Sacra Scrittura – dalla Genesi all’ Apocalisse – è l’attuazione di un solo progetto messianico. Ebbene: e se un anello «saltasse»? Se questa catena fosse rotta in uno dei suoi anelli più determinanti e significativi? Se Dante, Michelangiolo, Augusto, Isaia, il Battista, Einstein, Gandhi non fossero venuti alla vita?
L’aborto non è so!tanto la uccisione di un nascituro («omicidio» lo definiscono subito i Padri della Chiesa): esso si «introduce», intaccandolo, nel piano teleologico della storia, della speranza storica, producendo sconvolgimenti non misurabili nel piano storico trascendente di Dio: facendo «franare» – se fosse possibile – l’intera civiltà umana, il corpo mistico ed il corpo intero delle nazioni.
Investe – ed intacca – il piano misterioso delle genealogie bibliche, che è piano di salvezza e di civiltà per l’umanità e la civiltà intera.
Questo, appunto, è il dovere fondamentale, la responsabilità massima, la «richiesta» fondamentale del nostro tempo, rispetto alle nuove generazioni; quello di rivelare ad esse -mediante una «pedagogia» culturale, spirituale adeguata ad una adeguata efficace evangelizzazione – questo mistero reale che sottostà alla «filosofia delle generazioni» e che si fa ogni giorno più impegnativo ed urgente nella spiritualità, nella cultura, nella politica del nostro tempo.
«Coscientizzare» – come si dice – proprio in vista di questo tema di fondo, che investe il destino della storia della Chiesa, della civiltà e del mondo, le nuove generazioni!
C’è, infine, una terza ragione – quella psicologica – che dice «no» all’aborto: concerne la donna che abortisce: si tratta della «irreparabile», «ontologica» rottura che si verifica nel profondo della sua psicologia (psicologia del profondo di Jung; il rovescio della psicologia delle altezze di Frank) e che rende misteriosamente ed inevitabilmente presente nel profondo della psicologia della madre, il bambino ucciso; c’è in questo abisso delle profondità psicologiche della madre quella «Imago filii» che è incancellabile (salvo un miracolo di orazione e di grazia) e che è come un «punto omega», come una stella «rovesciata» di tenebre anziché di luce e che impedisce, sempre, il riposo interiore e la pace: peccatum meum contra me est semper!.
L’aborto non è un atto liberante della donna: anzi, la costituisce per sempre, in un certo senso, in una schiavitù interiore: nessun «intervento umano» può liberarla. Non c’è riforma sociale, per vasta che sia, mutamento di strutture economiche, politiche, assistenziali ecc… che possa liberare la donna da questa «autentica alienazione» interiore che l’aborto in lei invincibilmente causa. Non c’è, per questa liberazione, che la sola divina terapia della Grazia, del «digiuno» e della preghiera.
Ragione ontologica, ragione teleologica, ragione psicologica: tre ragioni che dicono fermamente e razionalmente – oltre che teologicamente – «no» all’aborto: che dicono «no» all’estinzione della vita del nascituro; allo «sconvolgimento» che si produce con la soppressione del nascituro nel piano di Dio, nella storia del mondo; alla insanabile rottura psicologica ed ontologica che l’aborto produce – e per sempre – al meccanismo tanto fragile della psicologia (psicologia del profondo) materna.
Queste le tre ragioni del «no» all’aborto. Ma c’è una ulteriore ragione; una quarta ragione che va messa, al termine di questa succinta analisi, in particolare evidenza: si tratta dello «specifico» stesso della nostra epoca in certo senso escatologica, finale, nella quale sono e saranno sempre più emergenti (nonostante tutte le apparenze contrarie) i «valori cristiani», purificatori, elevanti, della innocenza (dei bimbi); valori destinati a fare fiorire sulla terra, dandovi bellezza, splendore ed attrazione, il regno di Dio… «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno dei cieli»).
«L’impulso di Cristo» (Mancini) è veramente, nonostante tutto il «segno» cristiano della nostra età: un’età caratterizzata da una «crescente emergenza» del mistero di Cristo e del «regno messianico» di lui nella storia del mondo (cfr. «Cristo o Prometeo» di Lochmann).
La indicazione di vigilanza di Paolo VI in un discorso introduttivo (30.3.1973) all’Anno Santo (Magnum ab integro saeculorum nascitur ordo) ed il suo invito ai giovani «mettere le vele in sopravvento al soffio misterioso dello Spirito Santo che spinge la storia cristiana verso il suo porto escatologico» sono, in certo modo, l’autenticazione della Chiesa su questa immensa speranza escatologica, della stessa Chiesa e del mondo.
Orbene: in questa prospettiva di luce e di speranza non trova più posto un triste atto di morte quale è l’aborto!
Esso è il triste documento ed il triste segno di un’epoca che, come la guerra che essa portava con sé è destinata ormai a tramontare per sempre.
di Giorgio La Pira
Fonte: http://www.lanuovabq.it

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